«Hanno cominciato dalle poltrone e non dai programmi... proprio un buon inizio». Silvio Berlusconi osserva da lontano la trattativa in corso tra Pd e M5S e gli sviluppi della crisi di governo più pazza del mondo. Registra gli umori, le accelerazioni, le frenate e le giravolte e si concede un po' di amara ironia.
In serata poi scrive di proprio pugno una nota per manifestare la propria preoccupazione. «Una coalizione Pd-Cinquestelle troverebbe convergenze sulle idee della più vecchia, deteriore e fallimentare sinistra pauperista, statalista e assistenziale. Porterebbe agli italiani nuove tasse, compresa la patrimoniale, nuove leggi liberticide e la recessione. Vedo riaffacciarsi la spericolata ipotesi di riproporre la formula politica gialloverde, che tanti danni ha prodotto all'Italia, e che era stata dichiarata fallita dalla stessa Lega solo pochi giorni fa. Sono molto preoccupato come italiano, leader politico e imprenditore per la piega assunta dalla crisi di governo. Purtroppo ancora una volta le forze politiche mettono in atto spregiudicati tatticismi, preoccupate più del proprio destino che di quello degli italiani. In questo scenario grave è preoccupante è ancora più evidente che solo Forza Italia rappresenta, e lo fa con orgoglio e determinazione, le idee e le tradizioni politiche liberali, democratiche, garantiste e cristiane della Civiltà Occidentale, alternative alla sinistra e ben distinte dai sovranismi. Se si tornerà alle urne, ma anche se dovremo continuare a fare opposizione in Parlamento, il nostro compito sarà chiamare a raccolta l'altra Italia, che non si riconosce in questo teatrino».
Le perplessità di Fi in questa fase si appuntano sui movimenti di tutti i protagonisti di questa strana partita. Fi resta ufficialmente ancorata alla coalizione del 4 marzo 2018 e al format creato oltre 25 anni fa. È chiaro, però, che di fronte alla nuova, possibile trattativa tra la Lega e M5S i dirigenti azzurri iniziano a interrogarsi sullo stato di salute di una coalizione che a livello regionale continua a inanellare successi ma che non riesce a decollare a livello nazionale. Così come non sono passate inosservate le dichiarazioni del capogruppo leghista Riccardo Molinari che ha messo in chiaro che nell'alleanza sarebbe la Lega a dettare temi e priorità.
«Per noi il centrodestra non è un'ammucchiata elettorale, ma la formula politica alla quale gli italiani darebbero la maggioranza sulla base di una politica di maggior peso in Europa ma non contro l'Europa» dice Antonio Tajani al Messaggero. «In queste ore sul palcoscenico ci sono molti fornai maldestri in azione» commenta Mariastella Gelmini: «Quanto all'ipotesi di un ritorno a un esecutivo gialloverde si tratterebbe di pane raffermo, buono solo per una zuppa indigesta per il Paese: è una strada che speriamo la Lega non voglia davvero seguire». Sul tasto dei troppi forni aperti batte anche Anna Maria Bernini. «Ancora non è dato sapere se ci sarà un accordo Pd-M5s, oppure se Di Maio ritiene ancora aperto l'altro forno, quello leghista. In altri tempi un bivio del genere sarebbe stato inconcepibile. Più che un bivio quello che si delinea: è molto più prosaicamente, un trivio».
Chi, invece, sottolinea e rilancia le parole di Molinari, traducendole nella volontà salviniana di porre fine al centrodestra tradizionale è Giovanni Toti.«Molinari? Dice quel che anche Salvini va dicendo e che Forza Italia fa finta di non sentire, ovvero: il vecchio tridente ormai non esiste più...».
Per il governatore ligure non ci sono dubbi: Salvini, indipendentemente dagli esiti (imprevedibili) della crisi di governo, resta il king maker. Ed è deciso a blindare la presenza dello stesso Toti nelle future coalizioni «allargate».
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