«Le parole sono importanti» diceva Laura Biagiotti con la sua vocina flautata sotto cui nascondeva una sconfinata forza di volontà e un'intelligenza di primissimo ordine. Proprio per questo fanno ancor più impressione le fredde parole dei bollettini medici: «morte cerebrale».
A tradirla è stato il cuore che da tempo funzionava poco e male anche se lei faceva di tutto per nascondere i momenti di stanchezza e il fiato corto con cui le toccava confrontarsi a ogni minima fatica. Nata a Roma il 4 agosto 1943, la stilista ha lavorato come una pazza per cinquantadue lunghi anni costruendo un'azienda che fa onore all'Italia. Sua madre, Delia Soldaini, aveva una sartoria al 126 di via Salaria che nel 1964 vinse l'appalto per le divise delle hostess dell'Alitalia. Il successo è stato tale che l'anno seguente Laura decide di abbandonare gli studi per dare una mano. «Non è stata una decisione facile raccontava - ero a un passo dalla laurea in lettere antiche e mi stavo specializzando in archeologia cristiana con la mitica Margherita Guarducci, la grande epigrafista che ai tempi di Paolo VI ha scoperto le ossa di San Pietro. Insomma ho lasciato una cosa che amavo molto per trovarne un'altra che amo ancor di più: la moda».
In realtà quella che il New York Times ha definito «La regina del cashmere», prima stilista italiana a sfilare in Cina nel 1988 e, sette anni dopo, nel Grande Teatro del Cremlino, ex sede del PCUS, non ha smesso un secondo di coltivare la sua passione per arte, cultura e archeologia.
Nel 1975 s'imbatte per caso in un bellissimo rudere dell'XI secolo alle porte di Roma. È la torre del castello di Marco Simone che Laura compra e riporta a nuova vita con un restauro complicatissimo, costato cifre e fatiche indicibili per non parlare dei limiti imposti dalla sovrintendenza alle belle arti. Ci si trasferisce nel 1982 e da quel momento in poi avrebbe sempre detto: «Abitare in un monumento nazionale è come avere un bambino eternamente malato e bisognoso di cure, ma anche una gioia sconfinata: senti il respiro della storia, butti lo sguardo sull'eternità».
Con lei all'inizio c'è l'adorato marito Gianni Cigna prematuramente scomparso nel 1996 oltre all'unica figlia, Lavinia, oggi vicepresidente della società. «La nostra è una tradizione matrelineare» ama dire questa bella donna alta e bruna cresciuta in un castello accanto a incredibili opere d'arte, ma senza grilli per la testa perché lo stile Biagiotti s'identifica con la cultura non con il lato effimero della moda.
La regina del cashmere ha infatti cominciato nel 1982 quella che attualmente è la più grande collezione al mondo del genio futurista: Giacomo Balla. Si tratta di 270 opere tra abiti, bozzetti, oggetti, disegni e dipinti d'incredibile fama e bellezza come il ritratto di Tolstoi che toglie il fiato per l'intensità dello sguardo oppure il celeberrimo autoritratto dipinto dall'artista a 70 anni e spiritosamente intitolato «Autoballasettanta».
La stilista spiegava che Balla nel 1912 aveva inserito l'abito tra i mattoni di ricostruzione dell'universo e che questo per lei era motivo di grande consolazione. «La moda è il massimo dell'impermanenza diceva bisogna sempre ricordarselo. Noi stilisti facciamo vestiti che magari possono durare più a lungo delle torri gemelle, ma non abbiamo inventato il vaccino contro il cancro».
Sante parole, ma valle a dire ai giovani designer che alla domanda sulle loro fonti d'ispirazione rispondono: «Aspetta che guardo il mio Instagram».
Laura nel backstage della sua ultima sfilata tre mesi fa aveva come sempre le forbici al collo ma era visibilmente in affanno per aver fatto le scale. Eppure ha risposto a tutti con intelligenza e cultura.Certo per lei le parole erano importanti come il bello, il giusto e il vero su cui ha fondato la sua vita l'imperatore Adriano.
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