
Fino a qualche anno fa, prima che dalle nostre parti si cominciasse malvolentieri a capire che la contigua Russia ne ospitava un'altra molto peggiore, andava di moda definire la Bielorussia "l'ultima dittatura d'Europa". Truffe elettorali spudorate, arresti, torture e galera dura per i "dissidenti" (laggiù li chiamano ancora così, come ai tempi di Brezhnev... e del resto la locale polizia segreta si chiama tuttora Kgb, tanto per evitare equivoci) erano il pane quotidiano. Poi c'è stata la rivolta del 2020 contro Lukashenko, soffocata grazie all'"aiuto fraterno" di Putin, e l'invasione dell'Ucraina ordinata dal medesimo Putin due anni più tardi.
Così la Bielorussia, che già "orbitava" come cinguettano i maestri della Realpolitik attorno a Mosca, è scalata definitivamente a sua colonia. Putin la usa come un grande hangar per la sua aviazione da guerra, vi installa basi e missiloni con testata nucleare puntati verso ovest senza che i nostri "pacifisti" s'indignino, e tiene cicliche esercitazioni militari congiunte con le modeste forze bielorusse. Cinquantamila uomini che Lukashenko tratta coi guanti perché puntellano con le armi il suo detestato regime. Putin lo sa, e solo per questo ha fin qui convenuto che non vengano spediti a co-aggredire la confinante Ucraina.
Oggi cominciano in Bielorussia le preannunciate esercitazioni "Zapad 25", che hanno un sinistro punto potenzialmente in comune con quelle precedenti dell'ottobre 2021: centinaia di migliaia di soldati russi, con ampio supporto di mezzi, artiglieria e armi nucleari, si spostano ai confini occidentali dell'impero. Quattro anni fa rimasero lì mentre il Cremlino e i suoi amichetti in Europa lo negavano e nel febbraio 2022 furono impiegati nell'assalto a Kiev. Oggi e domani, chissà: lì a un passo ci sono la Polonia e la Lituania. Di certo c'è che Putin sta adottando con noi europei la "tattica del salame", ovvero attuare una fettina dopo l'altra, per stare alla metafora, gesti d'aggressione che compiuti tutti assieme provocherebbero reazioni indesiderate, mentre così, chissà poi perché, no. Bombe sul palazzo del governo di Kiev e sulla sede ucraina del British Council, il Gps dell'aereo di Ursula von der Leyen messo fuori uso in volo sulla Bulgaria, una sfacciata escalation di massacri di civili in Ucraina, da ultimo pure i droni sulla Polonia. Così, per vedere che effetto ci fa: se reagiamo, se esitiamo o se ci dividiamo. E per poi salire un gradino successivo.
Oltre al noto vassallaggio verso Mosca, la Bielorussia di Lukashenko si distingue oggi per la guerra di spie in pieno svolgimento con i Paesi dell'Europa orientale: l'ultimo colpo è stato l'arresto a Minsk di un religioso polacco per "spionaggio militare" (rischia fino a 15 anni di galera), mentre Romania, Cechia e Ungheria hanno espulso diplomatici bielorussi beccati con le mani nella marmellata. E poi ci sono quei 1300 (circa) prigionieri politici. Ogni tanto ne muore uno, di recente è toccato al 36enne attivista Andrei Padniabenny, accusato di "terrorismo". Il presidente americano Trump cerca di farne liberare qualcuno, e di recente ci è meritoriamente riuscito.
I metodi però sono i suoi: per evitare di pagare miliardi di dollari, lusinga Lukashenko chiamandolo "leader altamente rispettato". Quello incassa, e si fa bello lasciando andare qualche disgraziato. La morale è la solita: prima il grano e poi (eventualmente) i principii.