La finestra chiusa nonostante l'afa. I vetri infranti a terra, lo scotch sull'infisso al mezzanino di una palazzina popolare. E poi loro, i quattro agenti di polizia, tre uomini e una donna, della «speciale» di Primavalle, intervenuti dopo una segnalazione su un omone che si aggira tra i cassonetti a spaventare le donne. E adesso accusati di tentato omicidio.
Cosa è accaduto il 25 luglio nell'appartamento assegnato agli Omerovic in via Gerolamo Aleandro 24 lo vogliono capire gli stessi poliziotti del commissariato locale e della questura di Roma. Niente mandato, nessuna denuncia scritta, eppure gli elementi raccolti suggeriscono il blitz in casa di Hasib, 36 anni, sordomuto dalla nascita, con una sorella più piccola disabile, con importanti ritardi mentali. I quattro si sarebbero giustificati spiegando che in alcuni casi si può intervenire anche senza un mandato della Procura. Quali? Il sospetto di armi e droga. Di certo l'uomo, incensurato, che versa in condizioni gravissime all'ospedale Agostino Gemelli da 50 giorni, non aveva fatto mai male a nessuno, tanto meno era uno spacciatore. Lo raccontano gli abitanti del quartiere che lo vedevano tutti i giorni rovistare nella spazzatura. Ma tutto questo gli agenti non lo sanno. Le segnalazioni arrivate, anche attraverso i social, parlano di un personaggio inquietante.
A far scattare l'allarme un episodio accaduto il giorno prima. È domenica pomeriggio, una donna, Paola Camacci, cammina con la figlia quando vede Hasib che fotografa la ragazza. «Gli ho detto: Guarda che ti ho fotografato pure io - racconta -, ma lui ci ha seguito fino all'androne del nostro palazzo, siamo morte di paura». È così che nasce il post, ora rimosso, con l'immagine di Hasib che urla accanto a un passeggino colmo di rifiuti. Bisogna prendere provvedimenti» concludeva la chat. «Ma io non ho sporto nessuna denuncia» chiarisce la donna. Ai poliziotti, però, basta. La «squadretta» della polizia, agenti abituati ad agire in borghese per combattere lo spaccio di droga in una zona ad alto rischio, interviene il giorno dopo.
«Come tutti i sordomuti Hasib emette suoni gutturali quando cerca di farsi capire - spiega un uomo -, a qualcuno faceva paura, specialmente la sera. Ma era innocuo». Gli agenti decidono di fare la perquisizione. Non è chiaro se di questo ne fosse a conoscenza il dirigente del commissariato, fatto sta che i quattro bussano alla porta degli Omerovic, una famiglia di etnia rom trasferita da un campo sosta in un'abitazione assegnata dal comune di Roma. La madre di Hasib, Fatima Sejdovic, non c'è. Il padre nemmeno. Disoccupati, i quattro vivono con le pensioni di invalidità dei figli e, a detta dei vicini, non hanno faticato a inserirsi nel tessuto sociale di Primavalle. Una famiglia, comunque, ai margini. I dirimpettai delle palazzine di via Pietro Bembo raccontano che Hasib veniva spesso picchiato dai genitori.
I quattro entrano, cosa succede esattamente è riportato nell'informativa che la polizia ha già inviato ai pm Michele Prestipino e Stefano Luciani che hanno aperto un fascicolo per tentato omicidio. Porte e finestre chiuse, nessuno sente quello che dicono i quattro al 36enne. A un certo punto nell'appartamento scoppia il finimondo. Il manico di una scopa spezzato, la porta della camera sfondata, un termosifone divelto e poi tracce di sangue: è la scena fotografata dai legali degli Omerovic. La sorella che mima il gesto del fratello che si aggrappa al calorifero.
È Hasib ad afferrare la scopa e a scagliarla contro i poliziotti o viceversa? Secondo i quattro la situazione sfugge di mano per la reazione dell'uomo. Ma tutti gli indagati sostengono con fermezza che non l'hanno gettato loro dalla finestra. «Abbiamo cercato di salvarlo» mettono a verbale.
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