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"Il blocco navale non è un'ipotesi fattibile. La soluzione è usare il modello Albania"

L'ammiraglio: "Pattugliamo con personale libico. Nel '90 funzionò"

"Il blocco navale non è un'ipotesi fattibile. La soluzione è usare il modello Albania"

Fabio Caffio, ex ammiraglio, è un esperto di diritto marittimo, che propone soluzioni concrete e di buon senso alla crisi migratoria in questa intervista al Giornale.

Da gennaio 12.894 sbarchi, tre volte di più rispetto al 2020. Cosa bisogna fare per tamponare l'ondata estiva di migranti?

«L'Italia ha accolto negli anni circa 1 milione di migranti ottenendo uno scarso riconoscimento in ambito europeo. Bisogna condividere la responsabilità in materia di salvataggi in mare e sbarchi in luogo sicuro. Gli Stati hanno l'obbligo di cooperare fra loro, ma di fatto nel Mediterraneo questa cooperazione non esiste. Per di più gran parte delle chiamate di soccorso dei migranti arrivano ad una Ong, Alarm phone, che le smista secondo criteri aleatori. Bisogna stabilire un accordo di ricerca e soccorso (Sar) congiunto che coinvolga l'Italia, Malta, la Tunisia, ma anche la Spagna e la Francia oltre agli stati di bandiera delle navi delle Ong. E pure la Libia, anche se non possiamo riaccompagnare a Tripoli i migranti. Al momento Malta non risponde, la Tunisia non è coinvolta, Spagna e Francia pensano che non sia un problema loro e alla fine siamo sempre noi ad attivarci e a far sbarcare i migranti».

La Guardia costiera libica va aiutata o criminalizzata?

«Va aiutata, ma la Libia deve firmare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e quella sul diritto del mare. Abbiamo anche una nave militare dislocata a Tripoli che fornisce assistenza tecnica. Bisognerebbe far raggiungere alla Guardia costiera libica un livello adeguato agli standard delle altre autorità nazionali di soccorso».

L'opposizione evoca il blocco navale. È fattibile?

«Più che blocco navale, giuridicamente inappropriato, non dimentichiamoci quando abbiamo pattugliato le acque territoriali di Tirana, negli anni '90, con personale albanese a bordo delle nostre motovedette. Chi partiva verso l'Italia veniva riaccompagnato a terra. I libici sono restii per una questione di sovranità, ma l'Ue, in sinergia totale con Tripoli, potrebbe farsi garante di sorvegliare le acque territoriali libiche. Chiaramente questa operazione dovrebbe accompagnarsi al controllo Ue dei centri di detenzione dei migranti per garantire il rispetto dei diritti umani. E la selezione fra chi, attraverso i canali umanitari, può godere della protezione in Europa e chi va rimpatriato nei paesi di origine».

Ha senso trasformare la missione navale Irini sul controllo dell'embargo delle armi alla Libia in un'operazione di salvataggio dei migranti?

«Non ha senso. Con Mare Nostrum e Sophia tutti i migranti soccorsi in mare arrivavano in Italia. Rischiamo di far nascere l'ennesimo meccanismo farraginoso con il risultato che saremmo sempre noi il paese di sbarco».

Molti barchini arrivano anche dalla Tunisia. Esiste una soluzione?

«Non si capisce perché viene tenuta ai margini. Con la Tunisia, che al momento è inerte, va definito un accordo di cooperazione Sar. Una volta ricevuta una chiamata di soccorso l'Italia potrebbe operare nelle acque tunisine. Nel 2011 le navi militare italiane al limite dell'area Sar fornivano indicazione ai tunisini per farli intervenire.

Riaccompagnare i migranti in Tunisia non sarebbe una violazione dei diritti umani».

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