Il bluff dei "costruttori". "I numeri sono ballerini"

Non ha tregua la ricerca di voltagabbana e opportunisti dell'ultima ora soprattutto al Senato, un'operazione di shopping che Palazzo Chigi ha delegato ad una rete di emissari fidati

Il bluff dei "costruttori". "I numeri sono ballerini"

Non ha tregua la ricerca di voltagabbana e opportunisti dell'ultima ora soprattutto al Senato, un'operazione di shopping che Palazzo Chigi ha delegato ad una rete di emissari fidati dentro e fuori il Parlamento (secondo la Stampa la rete comprenderebbe persino «cardinali, generali della Finanza vicini ai servizi segreti, avvocati in odore di massoneria», ma lo staff del premier smentisce). Si lavorano ai fianchi i renziani, per farne tornare qualcuno nel Pd dopo i due sì alla fiducia annunciati dai due ex Iv Vito De Filippo e Michela Rostan, grande pressing sugli ex grillini, Mastella ha assicurato il voto della moglie senatrice ma si è chiamato fuori dall'operazione, poi si spera in qualche assenza nell'opposizione per abbassare il quorum e si continua a telefonare all'Udc. L'accordo con i centristi sembrava fatto poi sabato è saltato tutto per via - ricostruisce l'Adnkronos che cita una fonte vicina alla trattativa - di una telefonata di uno dei fedelissimi del premier al presidente dell'Udc Lorenzo Cesa, una chiamata in cui «si giocava a ribasso invitando i centristi ad entrare nel Conte bis accontentarsi delle caselle rimaste vacanti e andare avanti». Troppo poco, perciò la trattativa si è arenata e sembra molto difficile riaprirla tra oggi e domattina.

Ancora a poche ore dal voto quindi i numeri non sono affatto quelli sperati da Conte, al Senato quota 161 voti è lontana, si punta a raggiungere se va bene la soglia di 155-158, non sufficienti per garantire una maggioranza vera. I renziani si sono ricompattati, il progetto del nuovo gruppo contiano è in alto mare. «L'operazione costruttori si è sgonfiata» ammette uno dei senatori coinvolto nel reclutamento.

Persino alla Camera i numeri sono «ballerini», i traguardo dei 316 appare meno scontato per via dei molti dubbi soprattutto tra grillini (marcati stretti dalla Lega) ma anche dentro il Pd, dove si fa largo l'idea di riallacciare con Renzi piuttosto che regalare una vittoria a Conte e ai grillini. Perciò, parallelamente alle telefonate per reclutare transfughi e voltagabbana, Conte sta prendendo un considerazione un piano B, quello di presentarsi alle Camere da dimissionario. Un modo per evitare di subire l'umiliazione di una debacle al Senato, ma non solo. Consegnando le dimissioni al capo dello Stato il premier conta di ottenere un mandato per sondare la possibilità di un Conte ter, aprendo quindi le trattative ufficiali con i centristi, i «responsabili» vari e persino con Italia Viva, che continua a tenere una porta aperta al dialogo (il presidente di Iv Rosato: «Se Conte vuole, la crisi la risolve oggi pomeriggio») e infatti nel voto di fiducia sceglierà l'astensione, non il voto contrario. L'ipotesi di far saltare tutto e andare al voto, invece, è un'opzione che lo staff di Conte sta facendo girare a scopo intimidatorio, per terrorizzare l'esercito di miracolati e peones ben consapevoli che, se si torna alle urne, il Parlamento se lo possono scordare, e convincerli quindi a sostenere il governo per assicurarsi altri mesi di permanenza ben pagata in Parlamento. La verità è che Conte è incollato al potere e non lo vuole mollare e tantomeno rischiare l'osso del collo misurandosi con le urne. In effetti gli è già riuscito una volta di conservare la poltrona dopo una crisi di governo quando fu Salvini a sfiduciarlo, perché non dovrebbe riuscirgli anche con l'altro Matteo? Perciò le tenterà tutte per rimanere a Palazzo Chigi, prima cercando di rimpiazzare Italia Viva con altri senatori, quindi provando a trattare per un Conte ter, in alternativa l'idea spericolata è quella di andare avanti anche senza la maggioranza al Senato, con un governo di minoranza che tiri in lungo fino a luglio quando inizierà il semestre bianco e quindi non si potrà più votare.

Magari contando sui renziani per una sorta di appoggio esterno sui singoli decreti. «Politicamente un esecutivo fragilissimo» ammettono fonti governative. Conte e il M5s sembrano barricati dentro la «scatoletta di tonno» che dicevano di voler aprire.

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