Roma - «Il governo alza l'obiettivo di entrate da privatizzazioni nel 2019 dallo 0,3% del Pil del Documento programmatico di Bilancio (Dpb) all'1 per cento. È dal 2003 che le entrate da privatizzazioni non arrivano a questi livelli. È credibile?». La domanda retorica twittata dall'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli sintetizza bene l'inconsistenza delle previsioni del nuovo Dpb che ha triplicato a 18 miliardi i ricavi da dismissioni previsti per l'anno prossimo in quanto «i maggiori ricavi considerati per il 2019 costituiscono un margine prudenziale che mette in sicurezza gli obiettivi approvati dal Parlamento, anche qualora non si realizzasse appieno la crescita del Pil ipotizzata».
È lo stesso ministro dell'Economia, Giovanni Tria, a individuare le modalità attraverso le quali si dovrà raggiungere questo obiettivo. Gli incassi arriveranno dal «rafforzamento della strategia di riduzione del debito attraverso privatizzazioni, dismissioni del patrimonio immobiliare e riforma delle concessioni». Poi, ieri pomeriggio un'ulteriore precisazione del vicepremier Di Maio ha corretto il tiro. «Non ci saranno dismissioni di gioielli di famiglia. Noi abbiamo previsto immobili, beni di secondaria importanza, ma se mi parlate di Eni, Enav, tutti questi soggetti non finiranno in mani private, devono rimandare saldamente nelle mani dello Stato», ha dichiarato.
Allora è molto probabile che si ricorra al solito vecchio espediente della partita di giro del mattone di Stato. È l'Osservatorio dei conti pubblici diretto da Cottarelli a fornirci l'ordine di grandezza basando sui valori del ministero dell'Economia fermi al 2015. Il patrimonio immobiliare censito vale 283 miliardi di euro dei quali 55 miliardi sono indisponibili o perché facenti parte del demanio storico-artistico o perché necessari alla Pa per le sue sedi: Resterebbero 228 miliardi, ma di questi 147 miliardi sono in mano a Regioni e Comuni e per dismetterli occorre un'intesa con questi enti difficilmente compatibile con i tempi stretti del Dpb.
Si arriva così al patrimoni degli enti previdenziali (Inps in primis) che cifra circa 20 miliardi. E potrebbe così ritornare in auge il vecchio progetto grillino di creare un veicolo controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) per accelerare la procedura incassando in anticipo i proventi. Cdp che potrebbe essere compensata con qualche ulteriore quota di controllo nei «gioielli di famiglia». La principale controindicazione è rappresentata dal fatto che questo progetto, che assomiglia molto al dossier Capricorn elaborato da Matteo Renzi e dai suoi consiglieri, cozza decisamente con la missione di Invimit, la società pubblica di gestione del patrimonio immobiliare attraverso fondi di investimento già istituiti o in corso di studio, alcuni proprio con Inps.
Poiché, tolte le principali società quotate (per altro tutte di interesse strategico) non
restano molti asset da dismettere, diventa così probabile che si spinga sulla revisione del sistema delle concessioni (dalle autostrade agli aeroporti alle lotterie) con ovvie ricadute negative sulle tasche dei cittadini.
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