Altri quattro tunisini in manette per terrorismo e ancora i fari della sicurezza che si accendono sulla rotta Tunisi-Lampedusa. L'operazione antiterrorismo che tra Roma, Napoli e Latina ha smantellato la rete italiana su cui si appoggiava l'attentatore di Berlino Anis Amri, anche lui tunisino, suona un nuovo allarme su una delle prime nazionalità registrare tra i migranti che sbarcano nel nostro Paese. Nel 2017 il flusso migratorio dalla Tunisia ha superato quello dalla Libia, con 6mila tunisini arrivati in Italia: cinque volte di più dell'anno prima. E nel 2018, secondo i dati del Viminale relativi al periodo da gennaio al 30 marzo, su 6mila migranti sbarcati, i tunisini sono stati 1.187, secondi solo agli eritrei (1.551) e davanti ai nigeriani (363) che pure nel 2017 erano stati tra i più numerosi. Certo ben altri numeri rispetto all'emergenza estiva, calati del 74 per cento nel primo trimestre - mentre nello stesso periodo dell'anno scorso si contavano 24.278 nuovi arrivi - ma che evidenziano un flusso ancora costante da Tunisi.
Un fenomeno iniziato a settembre scorso, quando sempre più barconi fantasma, anche di legno, si materializzavano sulle spiagge siciliane e sarde scaricando decine di irregolari. Ma il «boom» è vistosamente anomalo soprattutto per un periodo invernale come, per esempio, il mese di febbraio, quando alle commissioni territoriali per l'asilo sono state presentate in un solo colpo 80 richieste di protezione internazionale da parte di tunisini. A cui se ne sono aggiunte subito altre 40. Quasi tutte respinte. Già, perché si tratta di migranti economici, che dunque non hanno i requisiti per ricevere lo status di asilo politico o gli altri due livelli di protezione previsti, umanitaria o sussidiaria.
È anche in questo contesto che operava l'associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina sgominata dalla Digos tra Latina e Napoli e composta, ancora, da tunisini. Gestivano gli sbarchi dei connazionali e li smistavano dall'Italia in Europa con documenti falsi. Ed è questa rotta ad aver alzato già in passato l'attenzione dell'antiterorrismo sui possibili rischi per l'Italia. Perché proprio il Paese nordafricano considerato l'unico modello riuscito delle primavere arabe, uno dei primi a dotarsi di una costituzione laica, oggi è anche il più grande bacino di foreign fighters dell'Isis: secondo l'Onu sarebbero fra i 5 e i 6mila i jihadisti partiti per unirsi all'esercito di Al Baghdadi in Siria, Iraq, Yemen, Mali, Libia. 800 quelli che avrebbero già fatto ritorno in patria dopo le sconfitte del Califfato.
La speranza fiorita con la rivoluzione dei gelsomini del 2011 è appassita rapidamente in una Tunisia morsa da una crisi economica diffusa e persistente, terreno fertile di marginalizzazione e jihadismo. A tenere alta la preoccupazione per il nostro Paese sono i legami sempre più frequenti tra ambienti fondamentalisti tunisini e l'Italia. Non solo Anis Amri. Anche Ahmed Hannachi, che il 1 ottobre scorso aveva accoltellato a morte due ragazze a Marsiglia aveva vissuto nei dintorni di Aprilia, provincia di latina, da cui il Viminale ha espulso poi altri quattro suoi connazionali tutti sospettati di terrorismo. Sugli oltre duecento soggetti accompagnati alla frontiera dal 2015 a oggi per questioni di sicurezza, i tunisini sono stati una settantina.
E pensare che nell'ambito degli accordi bilaterali siglati per frenare le partenze, già nel 2011 l'Italia aveva fornito a Tunisi sei motovedette per
vigilare sulle coste. Diverse di queste però erano rimaste a lungo in panne: ferme anche mentre, pochi mesi fa, ad agosto scorso, nel Mediterraneo era scattato il nuovo allarme per l'aumento delle navi provenienti da quel Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.