L'immagine è più o meno questa: Giuseppe Conte che fa coriandoli del documento finale durante il vertice di ieri dei capi di governo Ue. Irricevibile, per quel tentativo di far passare ancora una volta il fondo salva-Stati, il famigerato Mes, come la soluzione all'emergenza economica da coronavirus. Un rovesciamento del tavolo negoziale, mentre il G-20 passava all'azione mettendo sui piatto il suo whatever it takes da 5mila miliardi di dollari, con cui si consumava lo strappo, netto e formale, fra l'Italia e l'Europa del rigore. Così brusco da determinare, dopo sei ore di discussioni, un netto cambio di registro. Sparita dalla bozza la parola Mes e raggiunto un accordo per elaborare, entro due settimane, proposte nuove su un'azione coordinata di bilancio.
Nulla di concreto ancora, ma la palese irritazione di Conte, che ai partner aveva proprio ricordato come gli sherpa italiani avessero «ottenuto quasi tutto, compresa l'eliminazione di qualsiasi riferimento al Mes», ha evitato il superamento di un punto di non ritorno. «C'è stato un dibattito molto vivace. Alla fine sono passate molte delle posizioni italiane condivise nella lettera dei nove leader, grazie anche al loro appoggio», hanno sottolineato fonti di Palazzo Chigi.
Il tradimento in zona Cesarini aveva indotto il premier a lanciare un ultimatum, assieme al capo del governo spagnolo, Sanchez: entro 10 giorni l'Europa deve battere un colpo e trovare una soluzione adeguata. Senza che vengano messe in campo misure che il governo italiano non ha mai preteso, tipo la mutualizzazione dei debiti. «Ciascun Paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne», aveva chiarito Conte. Convinto chel'Italia abbia «le carte in regola con la finanza pubblica: il 2019 l'abbiamo chiuso con un rapporto deficit-Pil di 1,6 anziché 2,2 come programmato». La strada da seguire è quella di usare «strumenti finanziari innovativi e adeguati a reagire a una guerra che dobbiamo combattere insieme». Quindi, l'affondo finale: «Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato, allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l'Italia non ne ha bisogno!».
Nonostante il compromesso trovato di ieri sera, appare inevitabile una prosecuzione del braccio di ferro su Mes e coronabond, a meno che Angela Merkel, ormai a fine mandato, non decida di proporsi come salvatrice dell'euro con un cambio di fronte che sposterebbe gli equilibri a favore di chi sollecita misure coordinate e senza la spada di Damocle della Troika. Ma la Cancelliera non pare incline a concessioni: «Rispetto a chi ha immaginato o immagina i coronabond, ho spiegato che dal punto di vista tedesco noi preferiamo il Mes, come strumento, che è stato fatto per le crisi. Ma non siamo andati nello specifico».
Le due settimane ancora necessarie per provare a mettere insieme misure condivise possono però aumentare il rischio di trasformare una recessione che già si prospetta più dolorosa di quella post-Lehman, in una depressione da anni Trenta. Le ultime stime non sono confortanti, in particolare quelle che riguardano l'Italia. Standard and Poor's prevede per il Pil tricolore una flessione del 2,6% quest'anno, seguita da un ripresa del +2,9% nel 2021, contro il -2% di eurozona (420 miliardi di euro bruciati) e Gran Bretagna.
Ma se il lockdown durerà quattro mesi, la contrazione potrebbe essere molto più brutale e arrivare al 10%. Dal direttore generale dell'Fmi, Kristalina Georgieva, è arrivato un monito che vale per tutti: la rapidità della ripresa nel 2021 dipenderà dal coordinamento delle azioni che verranno prese. Appunto.
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