Roberto Pellegrino
Madrid Faceva più caldo del solito quel pomeriggio di luglio a Pamplona. Fuori l'ultima corsa coi tori, riempiva di grida le anguste strade, animate da una moltitudine di giovani troppo agitati per quel clima torrido.
Tra loro cinque ragazzi spagnoli tra i 20 e i 30 anni alla vana ricerca - come denunciato nei loro sms della droga dello stupro.
Cristina (nome fittizio), ha diciotto anni. Sappiamo, da quel poco concesso per proteggere il suo anonimato, che era a Pamplona con le amiche. Poi s'era persa nella folla ed era stata accerchiata da una manada, da un branco, di cinque ragazzi. Le avevano offerto chupitos, bicchierini di vodka, poi l'avevano condotta lontano da occhi indiscreti. E l'avevano violentata a turno.
Questo secondo la pm Elena Sarasate che, dopo le indagini preliminari del gip, lo scorso novembre, aveva rinviato a giudizio i cinque per «violenza sessuale» chiedendo alla corte ventidue anni di carcere per il branco.
E invece no, la ragazza non aveva subito l'orrida violenza. Cristina era stata partecipe e consenziente, secondo il difensore dei cinque, Augustín Martinez Becerra e per sostenere la sua verità, il legale dei presunti orchi, aveva riportato le parole della vittima rilasciate in Questura: «Non ho parlato, non ho urlato. Ero a occhi chiusi, sottomessa e non ho fatto nulla».
E quindi, secondo Becerra, la ragazza «non solo non aveva fatto nulla per farlo apparire come un rifiuto, ma rimanendo in silenzio aveva fatto intendere al gruppo che voleva avere rapporti sessuali».
Niente di ciò per la Sarasate: «La ragazza è stata violentata dal branco e la mancanza di urla e tentativi di difesa (come si vede nel video del telefonino di uno dei cinque, ndr), testimonia come la diciottenne fosse paralizzata dallo choc e vittima di una schiacciante superiorità fisica».
E per rafforzare la sua tesi, il pm chiese alla corte: «Se vi circondano cinque uomini in un vicolo cieco e vi chiedono cellulare e portafogli, e voi glielo consegnate senza dire nulla, potete denunciarli per furto?».
Ieri, dopo sedici mesi di processo e cinque d'attesa, tra urla di disapprovazione e lancio di fogli in aula, i cinque sono stati condannati a soli nove anni di carcere per «abuso sessuale continuato», schivando la «violenza sessuale» che ne comporta ventidue. Le principali associazioni per i diritti delle donne, ieri, hanno duramente manifestato contro la sentenza.
Per Amalia Fernández, presidente della Themis, «Il crimine contro le donne è l'unico delitto dove la vittima si trasforma in sospettata, retaggio di una mentalità patriarcale».
Per El Paìs, il processo segna «una nuova percezione pubblica dei casi di violenza sessuale e nel trattamento delle vittime».Cristina ricorrerà in appello. Due volte vittima del branco e della giustizia, dovrà convincere i giudici di ciò che era chiaro fin dall'inizio.
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