Londra - Questa Brexit, ma che fatica. Si è concluso con un nulla di fatto ieri, l'interminabile pranzo di mediazione tra il premier britannico Theresa May e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Al mattino alcuni quotidiani come il Times davano l'accordo per «molto vicino» e invece è stato ancora un buco nell'acqua. May e Juncker parlano di progressi fatti, ma ammettono «le differenze», sottolineano che «non si tratta di un fallimento, ma di certo non è neppure una vittoria». Ieri notizie e smentite si sono rincorse senza tregua, accompagnate da polemiche e dichiarazioni pubbliche.
Veniamo alla cronaca: nel primo pomeriggio la Bbc racconta di aver appreso che il governo britannico, pur di passare alla fase due dei negoziati, avrebbe ceduto sulla «questione irlandese», concedendo all'Irlanda del Nord di rimanere nel mercato unico e nell'unione doganale. Sebbene la giornalista rimarchi di non aver visto nessun documento d'intenti siglato da Londra e Bruxelles in vista del meeting europeo della settimana prossima, la notizia suscita reazioni immediate. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon dichiara che - se le cose stanno così - non si vede il motivo per cui anche la Scozia (dove due anni fa vinse il Remain) non possa chiedere di avere la stessa deroga. Della medesima opinione anche il sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan convinto da sempre che Brexit sarebbe una iattura per la capitale.
E mentre Theresa May fa sapere che parlerà più tardi, in una conferenza stampa congiunta insieme a Juncker, i Democratici Unionisti che sostengono il governo la precedono sui teleschermi e dichiarano che mai e poi mai il loro partito accetterà che il Nord Irlanda prenda una strada diversa da quella del resto del Regno Unito. A sentire quanto scoperto in serata dalla Bbc, sarebbe stata proprio la posizione degli Unionisti ad affondare le trattative. La May le avrebbe interrotte per chiamare la leader del Dup, Arlene Foster. «Nel corso della chiamata la Foster avrebbe chiaramente precisato le proprie preoccupazioni riguardo ad un accordo che facesse speciali concessioni al governo di Dublino», ha rivelato la Bbc. Alla fine la tanto attesa conferenza stampa congiunta si è risolta in un discorso brevissimo che nulla ha aggiunto a quanto già si sapeva o si immaginava. E cioè che la situazione è ben lungi dall'essersi sbloccata.
«Sono stati fatti dei progressi - ha dichiarato May - ma rimangono delle differenze su un paio di questioni». Se si pensa che le questioni più importanti da risolvere prima del 14 dicembre sono tre (il costo del divorzio, i diritti dei cittadini europei residenti e il confine con l'Irlanda) e che sulle prime due ancora non è trapelato nulla di concreto, fate un po' voi.
Intanto domani torna in aula la legge che dovrebbe regolare l'uscita dall'Unione e il Parlamento si prepara a votare l'emendamento presentato da laburisti, liberaldemocratici e da un gruppo di conservatori dissidenti, che chiede che sia il Parlamento a dire la parola finale sull'eventuale accordo raggiunto tra il governo e Bruxelles. Ammesso che mai ci si arrivi.
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