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Brexit, guai senza fine Anche Scozia e Galles chiedono status speciali

Come per l'Ulster, pure Cardiff, Edimburgo e persino Londra vogliono avere deroghe

Brexit, guai senza fine Anche Scozia e Galles chiedono status speciali

Non solo una. Sono almeno tre le croci che pesano in queste ore sulle spalle di Theresa May lungo il calvario verso la Brexit. Tre croci per tre spinte nazionaliste che da tempo segnano la politica dell'isola e rischiano di ingolfarla ancora di più in un momento cruciale. «Non possiamo permettere a parti diverse del Regno Unito di essere trattate in modo più favorevole di altre», dice il First Minister Carwyn Jones, capo del governo di Galles. «Se a una parte del Paese viene concessa la partecipazione continua al mercato unico e all'unione doganale, allora ci aspettiamo che anche a noi venga fatta la stessa offerta».

Così, mentre la premier lotta disperatamente per portare a casa la prima intesa di massima sulla Brexit (Juncker si è detto molto fiducioso che si chiuda negli incontri di oggi o domani), altre croci si abbattono sul cammino della leader inglese. La premier ha un bisogno disperato di convincere in queste ore i suoi alleati di governo, gli unionisti dell'Ulster (Dup), ad accettare per l'Irlanda del Nord uno status simile a quello della Repubblica d'Irlanda (niente frontiera tra le due parti e l'Ulster che risponde alla legislazione europea su confini e dogane, magari restando nel mercato unico). Se non fosse stato per il rifiuto dell'ultima ora del Dup, che vuole vedere il proprio destino coincidere con quello del Regno Unito, l'intesa sarebbe già stata annunciata lunedì. Ma il tavolo è saltato. Juncker vedrà May oggi e domani, giornate decisive. Mentre lui si dice ottimista, gli unionisti parlano di intesa «lontana». E se lo spirito degli unionisti dell'Irlanda del Nord spinge per tenere un'ancora con il resto del Paese, contemporaneamente il resto del Paese spinge invece verso la parte opposta, quella dei nazionalismi. «Se una parte del Regno Unito può mantenere un allineamento in termini di regolamentazione con la Ue e di fatto restare nel mercato unico (cosa che è la giusta soluzione per l'Irlanda del Nord) sicuramente non ci sono ragioni pratiche perché altri non possano fare altrettanto», ha spiegato su Twitter la First Minister di Scozia, Nicola Sturgeon. Da tempo protagonista di un braccio di ferro con il governo centrale per la decisione di lasciare la Ue, (6 scozzesi su 10 hanno votato per restare legati a Bruxelles), la leader scozzese non vede l'ora di cogliere la palla al balzo per strappare anche per la sua «nazione» uno status speciale oppure spingere l'esecutivo verso una soft Brexit. E come se non bastasse, ai due storici nazionalismi (ma i gallesi al contrario degli scozzesi hanno votato per l'addio alla Ue) adesso si aggiunge pure la voce - anzi la croce - della capitale, ormai da tempo città-stato. «Enormi conseguenze per Londra se Theresa May ha concesso che è possibile per una parte del Regno Unito rimanere dentro il mercato unico e l'unione doganale dopo la Brexit - ha scritto su Twitter anche il sindaco di Londra Sadiq Khan -. I londinesi hanno votato a larga maggioranza per rimanere nella Ue e un accordo simile qui potrebbe proteggere decine di migliaia di posti di lavoro». È il paradosso di un Paese dove l'aspirazione all'unità di una singola parte, l'Irlanda del Nord, ha fatto esplodere le spinte nazionaliste dell'altra parte, compresa la capitale. Intanto esplode anche l'ironia degli inglesi. Molti hanno preso di mira il sindaco Khan: «La frontiera tra il Nord e il Sud dell'Irlanda? La costruiremo lungo l'autostrada M25, fuori Londra».

Tra il serio e l'ironico anche il ministro della Brexit David Davis, che ha cercato di spiegare come le indiscrezioni che hanno stoppato l'intesa siano prive di fondamento.

«Perciò quando il primo ministro del Galles se ne lamenta o quando la First Minister di Scozia dice che c'è un motivo per cominciare a suonare le trombe dell'indipendenza, o il sindaco di Londra che giustifica una frontiera hard attorno all'autostrada, io dico che stanno compiendo un folle errore».

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