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Brexit, l'intesa di Natale Studio, lavoro, export: ecco chi vince e chi perde

Trovato in extremis un accordo sul "no deal". Terremotato il rapporto tra Regno Unito e Ue

Brexit, l'intesa di Natale Studio, lavoro, export: ecco chi vince e chi perde

Inseguito invano per quattro anni, l'accordo tra Londra e Bruxelles è arrivato quando molti già si stavano rassegnando al disastro del «no deal» e viene perciò accolto come una specie di regalo di Natale inatteso. L'intesa non sarà perfetta, e certamente non mancheranno nei prossimi mesi, alla luce delle sue applicazioni, le occasioni per criticare questo o quell'aspetto di un documento corposo che consta di 2mila pagine. Ha però il sicuro pregio di spazzar via un elemento di grave incertezza da un panorama di relazioni internazionali che ne ha già fin troppi. Ora è il momento di approfondire le sue conseguenze sulla vita reale delle persone interessate, nel Regno Unito come in Europa e, quindi, in Italia. Proviamo a farlo qui, punto per punto.

MOBILITÀ E VISTI

Dal 1° gennaio il Regno Unito lascia definitivamente l'unione doganale dell'Ue e il Mercato unico. Questo implicherà restrizioni alla mobilità delle persone da e verso il Regno Unito. Noi italiani dovremo dimenticarci la facilità di accesso, per turismo o per lavoro, a cui eravamo abituati da decenni: la carta d'identità non sarà più sufficiente per sbarcare negli aeroporti o nei porti britannici, servirà il passaporto. E chi intende trattenersi nel Regno Unito per periodi prolungati dovrà anche richiedere un visto. Chi lo farà per motivi di lavoro, inoltre, andrà incontro a due ordini di complicazioni: il primo è un rigoroso sistema a punti per la concessione del visto, il secondo è un costo elevato (si va dai 1.300 ai 2.300 euro!) per la domanda. In particolare, il sistema a punti dipenderà dalla disponibilità di un'offerta di lavoro da parte di un datore britannico, oltre che dall'entità dello stipendio. Misure che servono a scremare gli aspiranti e a limitare i rischi per il contribuente britannico di doverli, almeno in parte, mantenere. Insomma, addio al cliché del ragazzo italiano che sbarca a Londra contando di lavorare in un ristorante, imparare l'inglese e magari trovare l'occasione di lavoro della sua vita trasformandosi in imprenditore. Anche per i sudditi di Sua Maestà, naturalmente, alcuni diritti svaniranno: in particolare quello di stabilirsi liberamente da «expat» in uno dei 27 Stati dell'Unione, come tantissimi pensionati inglesi erano ormai abituati a fare soprattutto in Spagna, in Francia o in Grecia.

STUDIO

L'accesso alle università britanniche diventerà un privilegio per i più benestanti tra gli italiani: con l'uscita di Londra dall'Ue, infatti, le rette raddoppieranno o triplicheranno per i cittadini europei, anche se questo non varrà per chi ha già cominciato il suo percorso di studi Oltremanica. Verrà meno anche un pilastro dell'integrazione tra i giovani del Vecchio Continente: il sistema di scambio studentesco Erasmus non varrà più per il Regno Unito, che lo rimpiazzerà con un programma esteso a tutto il mondo che sarà intitolato al pioniere inglese dell'informatica Alan Turing. Tutta un'altra cosa, come è evidente, e infatti il negoziatore europeo Michel Barnier ha lamentato questa scelta che il premier britannico Johnson ha definito dolorosa, giustificandola con questioni di bilancio. Un'altra certezza (e una tradizione) che scompare.

SCAMBI ECONOMICI

Johnson si era a lungo impuntato per motivi politici sulla questione dei diritti di pesca, ma ha poi saggiamente accettato un compromesso. L'accordo di Natale ha soprattutto evitato l'introduzione di dazi oltre che di controlli doganali che comunque in parte verranno introdotti - che avrebbero danneggiato sia l'economia britannica che quelle europee. Il Regno Unito, che nel 2019 ha venduto nell'Ue il 43 per cento del proprio export, rischiava molto di più: i Ventisette esportano verso Londra meno del 7 per cento delle loro merci, e l'Italia in particolare poco più del 5. Il nostro Paese però gode di una posizione speciale: ha il terzo maggior surplus commerciale tra gli europei (12 miliardi di euro l'anno rispetto a Londra, che è il quinto importatore mondiale di merci italiane).

L'intesa risparmierà molti problemi soprattutto ai nostri settori agroalimentare, tessile, chimico e meccanico.

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