La sterlina raggiunge i massimi degli ultimi dieci mesi sull'euro, le piccole e medie imprese esultano e gli europeisti del Regno Unito vedono per la prima volta la luce in fondo al tunnel della Brexit ora che mancano 30 giorni esatti all'addio. Le parole che aspettano da mesi sono finalmente arrivate: l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea si potrà rinviare.
Sotto il fuoco interno dei suoi ministri, che durante un'infuocata riunione di Gabinetto in mattinata minacciavano di lasciare il governo, Theresa May cede ai rivoltosi e all'evidenza del caos Brexit e fissa un calendario perché il Parlamento possa decidere che strada prenderà il Regno Unito. Primo appuntamento: il 12 marzo, meaningful vote, il voto decisivo sul «suo» accordo con la Ue, nella speranza di sottoporre un'intesa che offra maggiori garanzie sul confine irlandese (finora i risultati sono a zero ma i negoziati continueranno questa settimana). Seconda tappa: se l'accordo sarà bocciato si arriva al 13 marzo, quando il governo sottoporrà una mozione in cui chiederà ai deputati se vogliono lasciare la Ue senza accordo (una strategia per andare incontro ai duri della Brexit ma anche per metterli definitivamente a tacere visto che sono solo uno sparuto gruppo in Aula). Ed eccoci arrivati alla terza tappa: se venisse bocciato il deal della premier e bocciata l'opzione no deal, il 14 marzo si arriverebbe alla mozione del governo che prevede un'estensione «breve e limitata» dell'articolo 50, cioè un rinvio della Brexit, che a questo punto potrebbe seriamente trovare il consenso del Parlamento. Anche perché, se così non fosse, si rischierebbe lo scenario che May minaccia da tempo: escluso il suo accordo, escluso il no deal, sul piatto resterebbe «nessuna Brexit».
Eppure, come ci ha abituato la politica britannica dal 23 giugno 2016, le cose non scivoleranno lisce fino alla prossima settimana e dopo. La premier non ha specificato quanto sarebbe lunga l'estensione, anche se ha definito «estremamente difficile» che uno slittamento vada «oltre la fine di giugno», perché richiederebbe la partecipazione del Regno Unito alle elezioni europee. May si è anche rifiutata più volte in Aula di dire se il governo appoggerà il rinvio della Brexit in caso di bocciatura del suo accordo. L'estensione dovrà in ogni caso essere concordata con la Ue e la premier ha ricordato ai deputati che estendere l'articolo 50 non può prevenire il rischio di un no deal.
Il risultato della mossa della premier è di aver preso ancora tempo. Il suo intervento smonta l'emendamento che oggi avrebbe dovuto essere votato in Aula, quel Cooper/Letwin che esclude l'uscita senza accordo e prevede un rinvio ma perde totalmente di forza senza il voto favorevole dei Tory europeisti, rassicurati dalla May. Su questo oggi la premier avrebbe potuto perdere il controllo della Brexit. Controllo che invece intende mantenere concedendo ai suoi Brexiters un voto sul no deal e mettendoli di fronte alla bocciatura. Scenario che gli estremisti della Brexit hanno compreso, tanto che il falco anti-Ue Jacob Rees-Mogg definisce quello della premier «un complotto per fermare l'uscita».
Nel frattempo il leader dell'opposizione Corbyn insiste sul fatto che appoggerà comunque il secondo referendum, anche se l'accordo della May passerà, perché - dice - serve il voto popolare. Ma la sua svolta sul referendum bis rischia di precludergli definitivamente l'ingresso a Downing Street: i laburisti favorevoli alla Brexit sono su tutte le furie.
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