Bruxelles sotto attacco

Bruxelles, simbolo triste: da teatrino della politica a palcoscenico del terrore

Per anni la capitale della Ue ci è sembrata solo un'entità astratta. Gli attentati le hanno ridato una dimensione umana

Bruxelles, simbolo triste: da teatrino della politica a palcoscenico del terrore

C'è qualcuno che in piazza, col gessetto, ha scritto: «Bruxelles è bella». Così, semplicemente. Davanti al palazzo della Borsa si sono accovacciati in tanti, lì per terra, a disegnare, lasciare messaggi, fiori, candeline. A piangere. A ricordare al mondo, e all'Europa specialmente, che Bruxelles è una città. Non la capitale dell'Unione europea, che non si capisce bene che cosa voglia dire, e sembra un'entità astratta, fatta più che altro di vetrate di grattacieli e gente nascosta nelle auto blu, bensì una città vera, in carne e ossa, secoli di storia nel selciato e negli edifici, nelle viuzze e in quelle facciate gotiche, nelle piazze che ieri erano piene di persone, persone vere. Bruxelles colpita al cuore ci ricorda che lì non c'è la Ue, lì ci sono urla e sangue, le lacrime e il sudore di un continente che si credeva perduto, annacquato nelle istituzioni algide, nella burocrazia surreale, nelle regole che diventano ostacoli e nelle tasse incomprensibili. Invisibile e fastidioso.Bruxelles, certo, è sempre stata lì. È sempre stata al centro, ma pareva quasi un ologramma. Bruxelles? Ah sì, la Commissione europea. Bruxelles? Sì, una delle sedi del Parlamento. Bruxelles? Dove fanno il Consiglio europeo. Bruxelles, insomma, non era più Bruxelles: era la scenografia, lo sfondo del poco applaudito teatrino d'Europa. Però Bruxelles era, è sempre stata un simbolo, è oggi lo è ancora di più: paradossalmente, per l'accanimento e l'odio e l'ossessione dei terroristi.Tutto questo, che racconta della storia e del cuore di Bruxelles e di un continente intero, i fanatici l'hanno sempre saputo. Prima di noi. Prima degli europei che, stufi della retorica e delle chiacchiere e delle imposizioni europee, nel senso dell'Unione, hanno finito per identificare l'Europa, la nostra Europa, con quella cosa lì: i palazzoni asettici, le bandiere senza inno, le aule straripanti di stipendi invidiabili, le normative che trasformano la quotidianità in percorsi a ostacoli, le elezioni col record di astensionismo, le tante parole vuote (e finte, come i finti aiuti). Invece no. I terroristi, proprio loro, col loro estremismo, con una visione della vita che niente ha a che vedere con la nostra, anzi, proprio perché vogliono distruggere la nostra, di vita, ecco: loro hanno visto che cos'è Bruxelles. Hanno visto il simbolo vero, oltre l'apparenza burocraticocentrica. Hanno visto l'Europa oltre il velo di maya europeista. Avevano già visto le vittime, anche se non ne avevano avuto pietà, anche se questo non ha impedito loro di agire, e uccidere. Anzi. Proprio quelle vittime interessavano alla loro causa, erano il sangue da succhiare per sopravvivere, per alimentare l'odio: i cittadini di Bruxelles, gli europei, da schiantare al suolo. Da tramortire e lasciare lì su una panchina, le gambe distrutte, le scarpe a pezzi, la camicia strappata come quella signora che sta con la pancia scoperta, esposta al mondo nella sua disperazione, le ferite sul volto e sul corpo. Niente più da nascondere: l'europeo va annientato, in tutto e per tutto.Così la vita di questa città, che non è Londra, non è Parigi, non è Madrid, non è Roma, è tornata in primo piano. In modo tragico. In un modo che si impone, che ci dice: ecco, io sono Bruxelles, questa città che piange e si abbraccia per strada e vive il terrore quando deve prendere la metropolitana al mattino per andare al lavoro, o deve salire su un aereo o, per caso, abita nel quartiere sbagliato, e adesso ha l'esercito per le strade, per poter andare a prendere i figli a scuola. Non sono quella città là.

Sono l'Europa, come tutti voi.

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