San Paolo Con il 96% del Venezuela offline, un blocco di Youtube durato 20 ore ed oltre due giorni di blackout energetico che hanno già causato la morte di 17 persone solo negli ospedali di Monagas e di almeno nove bambini nella capitale i corpi giacevano nella morgue di Belo Monte, nel centro di Caracas ieri il Sebin, il servizio d'intelligence della dittatura di Maduro, fotografava i manifestanti che cercavano di arrivare in Avenida Victoria, la zona capitolina dove era atteso Juan Guaidó che non molla di un centesimo nella sua battaglia.
L'obiettivo sempre lo stesso: intimidire chi aveva risposto all'ennesimo appello di marcia lanciato dal presidente ad interim il sesto in meno di due mesi questa volta all'insegna dello slogan «contro l'oscurità e contro l'usurpazione». Moltissima, ancora una volta, la gente in strada, ma non più i dieci milioni che avevano invaso tutte le città del Venezuela il 23 gennaio scorso - quando Guaidó giurò di fronte alla Costituzione da un palco a Las Mercedes. Comprensibile visto che a nessuno piace fare la fine di Alí Domínguez - giornalista dissidente chavista scomparso dopo aver partecipato ad un incontro con centinaia di ong davanti alla sede del quotidiano El Nacional allo scopo di distribuire gli aiuti umanitari che Maduro continua a bloccare alla frontier a- prima sequestrato da incappucciati e morto dopo 15 ore di agonia in un ospedale.
Né quella di Ángel Sequea, ingegnere di Corpoelec, la statale responsabile del disastro di questi giorni, anche lui prima desaparecido e poi ritrovato cadavere. Entrambi denunciavano i crimini di Maduro e del suo clan. Così come tanti desaparecidos meno illustri dei quartieri più poveri di Caracas che, ora che manca anche la luce, vengono eliminati nell'oscurità dai criminali che ingrossano le fila di collettivi armati e di apparati di repressione dello Stato come il Faes e l'intelligence militare del DGCIM. Meno popolo e, dunque, anche meno ex chavisti «senza di loro è impossibile rovesciare Maduro» spiega a Il Giornale un fotografo venezuelano non citabile per ovvi motivi di sicurezza vista la fine fatta da Jesus Medina, torturato e da oltre sei mesi senza processo in un carcere militare, o da Cody Weddle, deportato dopo una serie di articoli tanto veritieri quanto sgraditi al dittatore.
Gli esempi sono centinaia, come già sono oltre cento i morti a causa di questo blackout dovuti alla criminale gestione di chi ha statalizzato tutto, e che dopo avere affamato un intero paese da due giorni è riuscito nell'«impresa» di spegnerlo.
Il regime ha accusato del disastro la «guerra elettrica» dell'Impero yankee un po' come se quando a San Paolo del Brasile per 8 ore manca l'elettricità, è accaduto di recente, qualcuno accusasse Trump - una «post verità» propagata ieri ad arte online non solo dai suoi alleati di sempre Cuba, Nicaragua e Bolivia, ma anche da 16 deputati statunitensi tra cui la star di Twitter Alexandria Ocasio-Cortez.
Per la cronaca l'uso della forza ieri la dittatura lo ha esercitato anche contro Guaidó. Prima impedendo a molti venezuelani di raggiungere il punto di incontro di avenida Victoria, poi arrestando i tre autisti che all'alba dovevano trasportare il palco da montare. Alla fine Guaidó ha parlato da sopra un veicolo con un megafono perché senza elettricità.
«Non invochiamo ancora l'articolo 187 della Costituzione», quello che gli consentirebbe di chiedere l'intervento umanitario ha detto nel punto più importante del suo discorso. Poi ha annunciato «nuove marce». Un Maduro sollevato ha acceso l'aria condizionata perché, sia chiaro, a Miraflores l'energia c'è.
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