Potrà l'autoproclamato Stato islamico sopravvivere all'eventuale scomparsa del suo sedicente califfo Abu Bakr Al-Baghdadi, dato per gravemente ferito durante un raid aereo americano vicino a Mosul nella notte tra venerdì e sabato? Storicamente le dittature crollano con la fine del dittatore tranne nei casi in cui si incardinino in un solido sistema di potere in grado di auto-perpetuarsi non solo sul piano del consenso ma soprattutto sul piano economico.
Dobbiamo prendere atto che al-Baghdadi non ha avuto il tempo di coltivare un carisma personale essendosi auto-proclamato califfo poco più di 4 mesi fa, il 29 giugno scorso. Quanto alla solidità dello Stato islamico, che assume questa denominazione in contemporanea con l'insediamento del califfo, è da tenere presente che eredita la realtà dell'Isis (Stato islamico dell'Irak e del Levante) proclamato l'8 aprile 2013, che a sua volta è un'estensione dello Stato islamico dell'Irak, costituito il 13 ottobre 2006, che altro non è che lo sviluppo di Al Qaida in Irak, presente dall'ottobre 2004, anche se la cellula legata a Osama Bin Laden nasce nel 1999 con Abu Musab al-Zarqawi con il nome Organizzazione del Monoteismo e del Jihad. Il rapporto tra lo Stato islamico e Al Qaida, capeggiata da Ayman al-Zawahiri, si è interrotto formalmente lo scorso febbraio dopo i violenti combattimenti tra l'Isis e il Fronte Al-Nusra, gruppo siriano legato ad Al Qaida.
Quindi sul piano del consenso, mentre il Califfo Al-Baghdadi non ha finora avuto tempo sufficiente per affermare il proprio carisma, il suo Stato islamico in realtà ha un radicamento di oltre un decennio. Lui che si considera un discendente del profeta Maometto, che ha un dottorato in Scienze islamiche ed è stato un imam, si è attorniato da ex gerarchi sunniti del regime di Saddam Hussein che hanno familiarità con la gestione dello Stato e soprattutto con la repressione del dissenso.
Lo Stato islamico si sviluppa nell'area centrale a cavallo tra l'Irak e la Siria, copre una superficie grande quanto l'Austria su cui risiedono circa otto milioni di persone. Ha dei combattenti stimati tra oltre 30mila (secondo la Cia) a circa 100mila (secondo le fonti ufficiali), di cui 15mila sarebbero i terroristi stranieri provenienti da tutto il mondo, di cui almeno tremila con cittadinanza europea.
È indubbio che lo Stato islamico è la realtà più solida economicamente nell'ambito del terrorismo islamico. Secondo il capo dei servizi segreti curdo-iracheni, Masrour Barzani, lo Stato islamico ha delle entrate pari a 6 milioni di dollari al giorno, che si traducono in 2,2 miliardi all'anno. Ma è altrettanto vero che si tratta di una realtà economica volatile, essendo le risorse dello Stato islamico provenienti, per ordine di consistenza, da:
1) La vendita del greggio, circa 80mila barili estratti al giorno, contrabbandato prevalentemente in Turchia, a un costo che arriva al 50 per cento di quello di mercato, vale a dire attorno ai 40 dollari a barile, ma che può calare fino a 25 dollari a barile.
2) La vendita di reperti archeologici di valore inestimabile risalenti fino a 9 secoli a. C., tenendo presente che lo Stato islamico possiede più di un terzo dei 12mila siti archeologici di rilievo presenti in Irak.
3) Generose donazioni provenienti principalmente da ricchi privati del Qatar e del Kuwait, e fino al 2013 anche dell'Arabia Saudita. Solo il Kuwait ha donato oltre 200 milioni di dollari ai gruppi terroristici islamici dall'inizio della guerra civile in Siria nel 2011. Un ruolo decisivo è svolto dalle sedicenti organizzazioni umanitarie islamiche i cui rappresentanti arrivano con borsoni carichi di denaro contante.
4) La confisca dei depositi delle banche presenti sul proprio territorio.
5) I riscatti imposti per il rilascio sia dei civili cristiani o di altre minoranze etnico-confessionali sia degli occidentali sequestrati.
Nell'attesa che si chiarisca la sorte del Califfo, dobbiamo avere presente che lo Stato islamico è un nemico che ha una solidità economica ma che potrebbe essere annientata solo se lo si volesse.
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