Il calo dei prezzi fa saltare i sogni di crescita di Renzi

Istat: l'inflazione a -0,3% frenerà il Pil. Così il rapporto col deficit sarà vicino al 3%. E allora addio via libera Ue

Il calo dei prezzi fa saltare i sogni di crescita di Renzi

Renato Brunetta infierisce ed un po' maramaldeggia. «Crollano i prezzi, saltano i conti. Brutta giornata per Renzi e Padoan», twitta il presidente dei deputati di Forza Italia. In effetti, il dato diffuso dall'Istat sulla riduzione dei prezzi dello 0,3% su base annua piomba nel bel mezzo dell'elaborazione del Documento di economia e finanza (Def) da parte del governo. Ed al ministero dell'Economia cala il buio.Anche perché da questo documento (che, una volta spedito in Europa, cambia nome e diventa Piano nazionale delle riforme) dipende il via libera o la bocciatura della legge di Stabilità: valutazione che la Commissione Ue ha sospeso proprio in attesa del Def.Il dato dell'Istat è una mina sotto i conti pubblici perché costringerà il governo a rivedere (e di parecchio) le stime sulla crescita di quest'anno. Con conseguente aumento del rapporto deficit/Pil. Il governo contava di ridurlo quest'anno al 2,2%. Per riuscirci, però, aveva stimato un aumento nominale del Pil dell'1,6%. Il Pil nominale è dato dal Pil reale e dall'inflazione, che il governo aveva programmato quest'anno all'1%.Nel 2016, però - dice l'Istat - non solo l'indice dei prezzi al consumo non crescerà dell'1%, come indicato dal governo. Ma scenderà dello 0,3%. Deflazione piena. Ne consegue, che il Pil nominale rischia di salire quest'anno solo dello 0,3/0,4%. Al ministero dell'Economia circolano stime da worst scenario dello 0,5/0,6% da inserire nel Def. Stime che non sono state ancora confrontate con Palazzo Chigi. Ma che combacerebbero con le previsioni della Bce, che ha previsto una riduzione del Pil europeo dall'1,7 all'1,3%.L'impatto di un simile quadro macroeconomico sui conti pubblici innescherebbe in modo automatico un aumento del rapporto deficit/Pil al 2,7-2,8%. Vale a dire, superiore al dato previsto per quest'anno (e sul quale si articola la legge di Stabilità); ma soprattutto in salita rispetto a quello segnalato nel 2015. Non solo. A questo livello si arriva dopo l'utilizzo di oltre un punto di Pil cancellato dal disavanzo, grazie alla flessibilità europea di bilancio. Il dato, però, non tiene conto di eventuali sfondamenti della spesa, che regolarmente avvengono ogni anno, in funzione della mancata applicazione di alcune norme di bilancio.Insomma, il dato dell'Istat fa presagire che il deficit di quest'anno possa ballare pericolosamente intorno al 3%. Analogo discorso vale per il debito. Il crollo del Pil nominale a causa della deflazione rende praticamente impossibile per il governo rispettare la riduzione del debito, prevista. E non solo perché non verranno rispettati gli obbiettivi di proventi da privatizzazione, ma perché il calo dei prezzi condiziona anche l'avanzo primario: indicatore strutturale per la riduzione del debito.L'aumento del debito di 21,6 miliardi a gennaio segnalato dalla Banca d'Italia, invece, è legato all'andamento del fabbisogno di cassa del mese preso in considerazione. Lo stock è comunque salito a 2.191,5 miliardi.

Vista la dinamica della finanza pubblica, condizionata dalla deflazione, al ministero dell'Economia non resta che invocare le clausole di congiuntura negativa, previste dal Patto di Stabilità. E puntare così su una moratoria europea. Al momento, però, i segnali che arrivano da Bruxelles e Berlino non sembrano favorevoli all'indulgenza.

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