Politica internazionale

Il camion del terrore guidato da Al Qaida. "Non dimenticherò mai l'odore della morte"

La mattina del 12 novembre 2003 una cisterna carica di esplosivo si lanciò contro la base Maestrale in Irak facendo 28 vittime, di cui 19 italiane. Il racconto del sopravvissuto: "Rivedo ancora quelle immagini"

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Il camion della morte arriva alle 8.40. Avanza lentamente sulla strada ingolfata dal traffico, poi con uno scatto imbocca il viale che porta all'ingresso della base Maestrale. Dalla garitta di guardia l'appuntato dei carabinieri Andrea Filippa osserva la strana manovra di quella enorme cisterna. La segue con lo sguardo. La inquadra nel mirino della sua mitragliatrice. E mentre la motrice assassina prende velocità capisce, preme il grilletto.

La raffica uccide i due uomini in cabina, ma non ferma la macchina della morte. È un attimo. Pochi secondi dopo una palla di fuoco inghiotte Andrea e la garitta. Trasforma in scheletri di cemento le palazzine di base Maestrale. È la strage. Immane. Inaspettata. Tra le macerie ci sono i corpi straziati di 19 italiani e 9 iracheni. Tra i morti italiani si contano 12 carabinieri, 5 militari dell'esercito, e 2 civili, il cooperante Marco Becci e il regista Stefano Rolla arrivato sul posto per raccontare la ricostruzione di Nassiriya. E poi ci sono i feriti. Più di venti, straziati nelle carne, provati nell'animo da ferite che ben difficilmente rimargineranno. Un colpo ai carabinieri che hanno voluto insediarsi nel cuore di Nassiriya per esser più vicini alla popolazione. Un colpo alle nostre Forze Armate arrivate in Irak per contribuire alla stabilizzazione e alla pacificazione dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Un colpo all'Italia intera.

Ma il vero obbiettivo dei terroristi di Al Qaida, autori dell'attentato, è la coalizione internazionale chiamata a gestire il dopo Saddam. L'obbiettivo è tanto semplice quanto efficace. Nei piani di Al Qaida l'Italia è l'anello debole della coalizione, il Paese dove un attentato può scuotere le coscienze dell'opinione pubblica e spingerla a chiedere il ritiro della missione. Il che metterebbe a dura prova la credibilità della coalizione e innescherebbe altre defezioni.

Ma in quel tragico novembre di 20 anni fa l'Italia guidata dal governo di Silvio Berlusconi non molla. E soprattutto non molla la sua opinione pubblica. Gli italiani esterrefatti, ma composti, piangono quei morti, si stringono intorno alle proprie Forze Armate. Si riscoprono nazione come raramente sono stati. Ma chi è testimone di quella strage non dimentica l'orrore, il dramma, lo smarrimento di quella mattina di sangue.

«Quando siamo arrivati sul ponte ho incominciato a sentire quell'odore. Un tanfo dolciastro, un misto di carne bruciata e altri miasmi. Mi entrava nella gola, mi scendeva nei polmoni, mi torceva lo stomaco. Da quel giorno non se n'è mai più andato. Mi è rimasto dentro. Da quel 12 novembre quando respiro qualcosa di simile rivedo le immagini tornare». Così dieci anni fa Mattia Piras, caporal maggiore capo della brigata Sassari raccontava l'incontro con l'orrore di Nassiriya. Quel giorno aveva 24 anni. Lo scatto - pubblicato sopra - di Anja Niedringhaus, una fotografa tedesca morta 11 anni dopo in un attentato simile in Afghanistan, lo trasformò nel simbolo vivente della strage. Da allora e per sempre è il militare con una mano sull'elmetto ed il mitragliatore abbassato. Il militare che scruta impotente quel baratro davanti alle rovine spettrali della palazzina sventrata dal camion bomba è Mattia.

«Quella foto mi insegue - raccontò a Il Giornale -: quando me la scattarono pensavo al tenente Massimo Ficuciello e al maresciallo Silvio Olla. Erano i miei due compagni di scrivania dell'ufficio Pubblica Informazione. Quella mattina toccava a loro alzarsi presto e accompagnare ad Animal House il regista Stefano Rolla. Mentre la fotografa mi inquadrava scrutavo il baratro e pensavo ai loro volti. Sapevo già che non li avrei più rivisti. Sapevo che erano stati inghiottiti, triturati da quell'inferno nero. In quel momento facevo i conti con la loro morte.

In quel momento respiravo l'orrore che m'invadeva lo stomaco e mi rovesciava le budella».

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