Campagna brutta e cattiva? Abbiamo visto di peggio

Scandali sessuali, mafia, linciaggi mediatici, spie. Le elezioni in Usa sono un ring: dove vince il colpo basso

Campagna brutta e cattiva? Abbiamo visto di peggio

Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti sono un insieme di riti stranissimi, in parte derivati dall'enormità del territorio e dalla difficoltà (ai tempi del cavallo e anche della locomotiva a vapore) di riunire candidati ed elettori in speciali assemblee per (caucus e primarie) per scegliere i candidati, sostenerli. Ma anche attaccarli, diffamarli, scuoiarli vivi nei loro difetti e possibili scheletri nell'armadio.

Il primo scontro epocale della nostra epoca è quello fra Richard Nixon (che era stato il vicepresidente di Dwight «Ike» Eisenhower, ex comandante in capo delle forze alleate durante la seconda guerra mondiale) e John Fitzgerald Kennedy, rampollo miliardario della più importante famiglia irlandese d'America (dunque il primo cattolico, fatto clamoroso quasi quanto il primo nero o la prima donna), figlio di Joe Kennedy che fu un simpatizzante dei nazisti (in quanto irlandese) e implicato in traffico di alcool, in combutta con Tom Giamcana, uno egli ultimi membri della banda di Al Capone. Kennedy padre si assicurò attraverso Giamcana l'appoggio dei sindacati promettendo in cambio la fine delle inchieste sulla mafia promosse da Robert Kennedy, procuratore e fratello di John. Finì con l'uccisione a Dallas del presidente Kennedy in un complotto sul quale la commissione Warren indagò per anni invano. John non ebbe rivali, sfidò l'Unione Sovietica, ebbe molte relazioni sessuali di cui la più nota è quella con l'attrice Marilyn Monroe che si suicidò, o forse fu uccisa.

Kennedy aprì la guerra in Vietnam che il suo successore e vicepresidente Lyndon Johnson condusse in modo durissimo per due mandati finché gli succedette Richard Nixon, il presidente più biasimato d'America che però chiuse la guerra in Vietnam e aprì alla Cina. Paradossalmente i repubblicani erano meno guerrafondai dei democratici, ma tutto il mondo di sinistra si schierò in America e in Europa, a favore del candidato McGovern, bell'uomo e trascinatore di masse radical chic. Nixon si rovinò con l'affare Watergate quando accettò di far spiare i democratici con un sistema di spionaggio elettronico nel palazzo del Watergate. Fu costretto a dimettersi, ma il problema della sua successione fu complicato da un evento senza precedenti: il suo vicepresidente Spiro Agnew, politico di origine greca, non dovette dimettersi a sua volta per una serie di scandali. Gli Stati Uniti si trovarono così di colpo senza Presidente e senza un vicepresidente. Il caso complicato venne risolto dal Congresso che elesse Gerald Ford, primo «commander in chief» non eletto dal popolo. Ford era repubblicano di bella presenza ma scialbo.

L'America, stanca di guerra, hippy, in preda a una grande crisi d'identità rifiutò di eleggere di nuovo Ford e portò alla Casa Bianca lo sfortunato e disastroso Jimmy Carter (tuttora vivente, quasi centenario) il quale si trovò a fronteggiare, malissimo, la crisi dell'Iran: lo Scià Reza Pahlavi, un uomo moderno filo occidentale che fu costretto all'esilio dalla rivoluzione fondamentalista degli Ayatollah. Il nuovo regime antiamericano entrò nell'ambasciata Usa e fece prigionieri tutti i funzionari ed impiegati sfidando apertamente Washington a reagire. Carter tentennò, era vittima di furibondi attacchi di rabbia e continui ripensamenti finché si decise a intervenire con un blitz nel deserto e che finì in un sanguinoso fiasco: alcuni elicotteri esplosero e l'Ayatollah Khomeini dichiarò ufficialmente che Allah era con lui e che Carter era un uomo ridicolo. Come se non bastasse, l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan e Carter non seppe far altro che ritirare gli atleti americani dalle Olimpiadi di Mosca.

Il Paese esaurì rapidamente la sua voglia di pacifismo dopo la disfatta nel Vietnam e si affidò all'uomo nuovo della destra americana: il governatore della California Ronald Reagan che da giovane, magro e con la faccia da duro, aveva recitato in numerosi film western. Il mondo di sinistra «liberal» in America, e tutta la sinistra europea, specialmente francese e italiana, si scatenarono contro il candidato repubblicano definendolo un modesto attore di film di serie B, un guerrafondaio, un anticomunista viscerale che avrebbe portato il mondo sull'orlo del baratro.

Reagan era un realista di poche parole. Decise di chiudere la «guerra fredda» con l'Unione Sovietica in tandem con la lady di ferro, Margaret Thatcher e mise il nuovo segretario comunista russo Mikhail Gorbaciov di fronte a una scelta diabolica: o dissanguarsi economicamente per seguire il progresso tecnologico delle «guerre stellari» annunciate da Reagan, o chiudere la partita del confronto con gli Stati Uniti e con l'Occidente, rinunciando a qualsiasi politica militare aggressiva. Fu allora che molti pensarono con Francis Fukuyama che la storia fosse finita e che un avvenire di pace universale e laboriosa sarebbe venuto subito dopo.

Ma non avevano fatto i conti con la politica di Bill Clinton che difese i musulmani balcanici bombardando dalle basi italiane Belgrado. Il resto, la politica disastrosa nel Medio Oriente di Obama e del suo segretario di Stato Hillary Clinton, dimostrò che una nuova guerra era appena nata e che non c'era in campo un presidente in grado di combatterla.

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