«A Renzi sarebbe bastato chiedere al suo amico Franco Bernabè per sapere che il suo pupillo Campo Dall'Orto lasciò La7 che perdeva oltre 120 milioni con un audience del 2-3%. Naturalmente, sarei felice di aver preso un abbaglio e spero che Dall'Orto riporti la Rai ai fasti di un tempo». I timori del senatore Pd anti-renziano Massimo Mucchetti, fatti all'epoca della nomina di Dall'Orto a dg Rai, si stanno rivelando esatti. Dopo un anno e mezzo di sua gestione la Rai ha collezionato polemiche, flop, dimissioni e figuracce senza uno straccio di piano di rilancio, lo share medio cala di oltre 2 punti e come se non bastasse l'azienda si avvia a chiudere il prossimo bilancio con un rosso di 70 milioni di euro, nonostante una valanga di soldi in più dal canone in bolletta.
Un paradosso, che si somma ad un altro. Campo Dall'Orto è ormai un uomo solo, ma più che mai al comando. Isolato, sfiduciato persino dal Pd che lo ha portato in sella al cavallo di Viale Mazzini («È il capitan Schettino della Rai» lo ha definito il renziano Anzaldi), un peso morto per il suo grande ex sponsor Matteo Renzi, Campo Dall'Orto è un generale barricato nel suo ufficio come un fortino ma con pieni poteri, mai avuti da nessun predecessore. Con le dimissioni di Carlo Verdelli, a cui Dall'Orto ha scaricato la responsabilità del disastro sul piano news, il dg si è assunto pure la delega di ridisegnare tutta l'informazione della Rai. Dall'Orto ha spiegato a grandi linee cosa ha in mente: nascita di una agenzia informativa nazionale con l'unificazione TgR-Rainews24, ripensamento sul numero e la collocazione delle edizioni dei tg, sviluppo del digitale. Cambiamenti che comporteranno anche nomine e promozioni, su cui il dg ha quasi carta bianca. Con la nuova governance Rai, infatti, il direttore generale è un amministratore delegato che non deve più passare, per ogni decisione, dal consiglio di amministrazione. Può nominare i dirigenti senza il parere di nessuno, anche se per le nomine editoriali deve ancora passare del cda. Inoltre, per statuto, assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata, firma contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica dell'azienda. Un capo assoluto, anche se assolutamente isolato ormai, al di là della stretta cerchia di fedelissimi di cui si è circondato, assumendoli dalle aziende da cui proveniva lui (Mtv, Viacom).
La nuova legge lo ha trasformato in un ad ma, nel contempo, ha accorciato la durata del suo mandato a tre anni. Significa che nell'estate 2018 Campo Dall'Orto scadrà. Il problema, a questo punto, è se ci arriva. I rumors lo danno già con le valigie pronte, con la Maggioni (ora presidente) papabile alla sua poltrona, Anzaldi del Pd prevede che «non mangerà la colomba» pasquale. In realtà Dall'Orto non sembra intenzionato ad andarsene: «Ho ricevuto un mandato legato all'innovazione della Rai da Matteo Renzi. Ed è un impegno che intendo continuare a svolgere anche col governo Gentiloni». Ma proprio il premier, secondo le voci di corridoio Rai, potrebbe essere l'ostacolo di Dall'Orto.
Gentiloni vorrebbe un cambio di passo a Viale Mazzini, e qualcuno ricorda che fu proprio Gentiloni, allora ministro degli Esteri, a suggerire a Renzi da Teheran, dove era in missione insieme all'allora direttrice di RaiNews24, il nome della Maggioni per la presidenza Rai.
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