Il candidato della presidenta uscente Kirchner dovrà aspettare lo spareggio per superare Macri

Cambiare per sempre o continuare nel solco dei Kirchner. Lo sapevano bene i trentadue milioni di argentini che ieri sono andati a votare. Dodici anni dopo, per la prima volta, la dinastia Kirchner è giunta alla fine. «Ci sarà ballottaggio»: ha affermato Marcos Pena, uomo-chiave dello staff di Mauricio Macri, il candidato di centrodestra alle presidenziali, l'uomo amato dalla borghesia di Buenos Aires della coalizione Cambiemos. Il primo turno elettorale si è svolto in un clima di serenità ma non risponde al dubbio di fondo della giornata, se cioè per conoscere il nome del successore di Cristina Fernandez de Kirchner bisognerà attendere il ballottaggio in programma fra un mese, il 22 novembre. Come era ampiamente atteso e sulla base di quanto riferito dai media, Daniel Scioli, il candidato della Kirchner, peronista del «Frente para la victoria» (Fpv) è stato il più votato. Per imporsi già al primo turno di ieri però Scioli avrebbe dovuto superare il 45% oppure il 40% dei voti con un distacco superiore del 10% rispetto al secondo piazzato. Giubbotto di cuoio, sorridente e accompagnato dalla moglie, l'ex modella Karina Rabolini, Scioli, 58 anni, ha votato al Tigre, una delle località della provincia di Buenos Aires, la più importante del paese in termini sia di peso elettorale (il 38% del totale) sia del Pil. Macri come Scioli, che ha votato in una scuola del quartiere «chic» di Palermo, ha puntato sui «Pumas», sull'orgoglio del Paese: «rappresentano quel cambiamento che vogliamo per l'Argentina. Spero che sia una giornata storica». I due candidati di origine italiana sono stati definiti dalla stampa due facce della stessa medaglia. Appartengono entrambi alla classe borghese, e sono amici da 30 anni.

A votare nella Patagonia dove ha vissuto per anni, è stata anche la presidente Cristina. «Abbiamo mantenuto la promessa, questo voto si svolge in piena normalità», ha sottolineato. Lei che dopo lascia dopo due mandati, prima di lei il marito Nestor che si sarebbe ricandidato e probabilmente avrebbe vinto se non fosse stato per quell'infarto fulminante che lo uccise nel 2007 costringendo la moglie a ricandidarsi. L'Argentina e i Kirchner, il destino uno nelle mani uno dell'altro per dodici lunghi anni. E l'eredità è pesante. Prima ancora dell'aspetto economico c'è quello culturale. Cristina lascia un paese spaccato nel profondo. «Ogni argentino ha un aneddoto da raccontare di quando durante un matrimonio gli ospiti kirchneristi stavano seduti da un lato e gli antikirchneristi dall'altro», spiega Beatriz Sarlo, una delle intellettuali argentine più rispettate, da sempre critica con il governo dei K. Il popolo è diviso, «e questo non passerà con la fine del governo», spiega il giornalista Jorge Lanata. Anche i giornali si preparano a tempi diversi, per un futuro nuovo. Dopo molti anni tornerà l'opposizione, che con l'autoritarismo della Kirchner si era come dissolta nel nulla. Cristina pare avvertire solo in parte il logorio del potere: dirà «adios» alla Casa Rosada con un alto grado di gradimento, è sicuramente messa molto meglio delle colleghe dell'America Latina, la cilena Michelle Bachelet e soprattutto la brasiliana Dilma Rousseff.

Cristina non intende andare in pensione e lascia il governo con un bilancio nettamente positivo e cioè con un calo della povertà, la disoccupazione più bassa degli ultimi anni, gli aumenti dei salari più bassi e un forte piano statale per finanziare i consumi, vera boccata d'aria per la classe povera. In altre parole, le politiche spinte per anni con determinazione dal «kirchnerismo».

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