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Cantone torna "pm" per commissariare il feudo elettorale Ncd

Cara di Mineo, lo sceriffo Anticorruzione chiede l'intervento del prefetto di Catania per cacciare le coop indagate. L'atto d'accusa: illeciti provati

Cantone torna "pm" per commissariare il feudo elettorale Ncd

L'aveva detto, sin dall'inizio del terremoto di Mafia Capitale, quando è stato chiaro che uno degli epicentri degli affari illeciti di Buzzi & Co. era il Cara di Mineo, feudo elettorale dell'Ncd. E adesso l'ha fatto, con un atto d'accusa di 15 pagine in cui, più che il presidente dell'Anticorruzione, viene fuori il pm che per anni ha lavorato nelle procure antimafia. Raffaele Cantone ha chiesto al prefetto di Catania, Maria Federico (competente territorialmente, ndr ), il commissariamento del centro di accoglienza siciliano al centro di ben due inchieste, quella dei pm romani di «Mafia Capitale» e quelle aperte dalle procure di Caltagirone e di Catania, dove è indagato anche il sottosegretario Ncd Giuseppe Castiglione in quanto «soggetto attuatore» del Cara tra il 2011 e il 2012. La decisione, formalmente spetta al prefetto. Ma la lettera di 15 pagine inviata ieri, per conoscenza, anche al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, è un autentico atto d'accusa. Così come la sanzione massima, il commissariamento, per il Cara. Anche perché «evidente è la necessità – scrive Cantone – di porre in essere misure preordinate a salvaguardare gli interessi pubblici coinvolti, a garantire che l'appalto venga eseguito al riparo di ulteriori tentativi di infiltrazione criminale, nonché a scongiurare il pericolo che le due società coinvolte, il consorzio di cooperative “Casa della solidarietà” e “La Cascina Global Service srl”, possano conseguire ulteriori profitti illeciti».

Cantone fa proprie le accuse contenute nell'ordinanza dello scorso 29 maggio del Gip di Roma, Flavia Costantini: «La suddetta ordinanza – da ritenersi in questa sede integralmente richiamata – ricostruisce, con assoluta precisione e chiarezza, tutta l'attività illecita posta in essere da un sodalizio criminale organizzato secondo il vincolo associativo e per i fini di cui agli articoli 353 e 319 del codice penale (turbata libertà degli incanti e corruzione, ndr ) nonché i rapporti di natura corruttiva instaurati da Luca Odevaine nell'ambito del suo ruolo istituzionale di appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale e in qualità di componente della commissione di gara per l'aggiudicazione dei servizi di gestione del Cara di Mineo con esponenti del gruppo La Cascina». Sulla base dell'ordinanza, allegata alla lettera insieme alla precedente del dicembre del 2014 e ad altri 16 atti, secondo Cantone, non c'è dubbio che «gli accordi corruttivi» siano «dimostrati in maniera incontrovertibile».

La gara nel mirino è quella del giugno 2014, base d'asta una torta di 98,7 milioni. Secondo il Gip, e dunque secondo Cantone, c'è la prova del fatto che quell'appalto sia stato costruito ad hoc - tra i requisiti necessari le cucine poste entro un limite massimo di 30 km dal Cara - per far vincere l'associazione di imprese «amica». Proprio su questo appalto, su ricorso dei perdenti, l'Anticorruzione era intervenuta rilevandone l'«illegittimità». Ma i gestori del centro non avevano dato seguito all'ordine di Cantone. Poi gli arresti di maggio hanno rimescolato le carte. E ora, la richiesta di commissariamento del Cara può chiudere la partita.

E il business milionario di Mineo.

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