L'alleato incompiuto, il partner dimezzato, il movimento rivoluzionario finito comodamente inscatolato dentro la scatoletta di tonno con il desiderio di restarci più a lungo possibile, la seconda gamba di un'alleanza spezzata dalle troppo divisioni interne.
La crisi profonda dei Cinquestelle continua a seminare dubbi, inquietudini e tentazioni nel campo del Pd. Una domanda è sempre più ricorrente: cosa fare davanti all'implosione di M5S e alla perdita di leadership di Giuseppe Conte, ovvero il partner privilegiato scelto da Enrico Letta per ricostruire una sorta di Ulivo 2.0? Se da una parte c'è chi ragiona in termini di annessione o di trasformazione dei grillini in un piccolo satellite con cui intercettare quella parte di sinistra refrattaria a votare un partito percepito come sinonimo di gestione ed esercizio del potere, dall'altra c'è chi ritiene che l'implosione dei Cinquestelle, unico alleato in grado di raccogliere un vero consenso elettorale sia una brutta notizia per la sfida da lanciare tra un anno al centrodestra. L'idea che i Cinquestelle potessero portare acqua e voti al mulino del Pd, senza avere la forza e la classe dirigente con cui poter incidere e scalzare l'egemonia del Nazareno inizia a vacillare. E così sui territori sono molti i dirigenti che iniziano a chiedere di riequilibrare il baricentro, coinvolgendo appunto il Centro e i renziani in particolare, investendo sulla proposta piuttosto che sulle alleanze, alzando l'asticella e cercando di andare oltre quel 20, 25% massimo di cui è accreditato il Pd. E in quest'ottica si può leggere l'allargamento delle prossime Agorà del Pd agli esponenti di Articolo Uno - con Pier Luigi Bersani invitato per la prima volta - di +Europa e di Italia Viva, al debutto.
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ad esempio, non nasconde di essere poco convinto dell'affidabilità della strategia giallorossa e invita ad «allargare il campo a riformisti e liberali», con l'idea di creare le condizioni per poter chiamare dopo il voto Mario Draghi a completare il lavoro su riforme e Pnrr.
Non c'è però solo il futuro prossimo a preoccupare, ma anche il presente, ovvero il completamento della legislatura. In un'intervista al Corriere della Sera, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, afferma in maniera chiara che ora «arrivare al 2023» è il problema. Nella partita del Quirinale, «il Pd ha dato dimostrazione di un impegno a proseguire l'esperienza del governo», ma bisogna fare i conti sia con Matteo Salvini che con il M5S. «Mi preoccupano entrambi, ma per ragioni diverse. Per quanto riguarda Salvini spero per l'interesse nazionale che non rincorra Meloni anche strizzando l'occhio a posizioni antieuropeiste e no vax. Per quanto riguarda il M5S non parlerei di caos, ma di un passaggio difficile che mi auguro si risolva con un rafforzamento dell'alleanza progressista».
Inoltre sui rischi che può correre l'attuazione del Pnrr con l'avvicinarsi della campagna elettorale, «spero - dice Orlando - che nessuno voglia prendersi la responsabilità di strappare. Chi dovesse farlo si assumerebbe il peso di una perdita di risorse senza precedenti per il Paese».
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