Mentre le diplomazie avanzano con i loro ritmi, a 36 ore dal giuramento di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela a Caracas (come prevede la Costituzione del 1999, da anni calpestata dalla dittatura) i corpi speciali del presidente Maduro - i famigerati sgherri del Faes, del Sebin e della contro-intelligence militare - continuano ad arrestare persone a ritmi degni del miglior Pinochet degli inizi nella città dormitorio di Petare. Ai tempi in cui Chávez aveva fatto sognare con la sua rivoluzione bolivariana questa parte di mondo, ovvero un buon 50% di venezuelani, i più poveri, qui era un feudo dell'ex paracadutista e neanche a sognarsi una protesta contro di lui. Da tempo, invece, proprio a Petare come in altre zone popolari il nome di Maduro è costantemente associato agli insulti che, quando va bene lo definiscono «un inetto». Non è dato sapere quanti siano i desaparecidos dall'altroieri ma, a detta dell'Osservatorio venezuelano per il conflitto sociale, un'ong indipendente non controllata dalla dittatura, sarebbero almeno 300 le persone portate a forza via su pick-up e fuoristrada, ammanettate e sovente incappucciate. Ai tempi della dittatura argentina di Videla si usavano i Ford Falcon, diventati tragicamente famosi perché poi quei desaparecidos non furono mai restituiti ai loro cari, oggi a Caracas e nelle principali città del Venezuela gli sgherri di Maduro usano altri mezzi di trasporto ma i metodi repressivi somigliano molto a quelli delle peggiori dittature latinoamericane. Certo è che, come sostenuto ieri dall'ex ministro dell'Industria e del Commercio, l'analista venezuelano Moisés Naím, «la situazione è lungi dall'essere risolta ed è troppo presto per festeggiare l'uscita di scena di Maduro anche perché oltre alle Forze Armate del mio paese tra i principali attori in questo caotico contesto c'è Cuba visto che proprio Raúl Castro ha trasferito nel recente passato la sua tecnica di repressione e di controllo sociale.
Altrettanto certo è che, sempre ieri, il generale Padrino López, ministro della Difesa di Maduro, ha fatto un breve pronunciamento pubblico in cui, oltre a definire «un atto vergognoso» il giuramento di Guaidó, ha denunciato «la pianificazione di un colpo di stato da parte della destra patrocinata da agenti imperiali contro il governo legittimo di Maduro». Non una parola sul fatto che a fine 2015, il numero due del regime, Diosdato Cabello, avesse nominato nuovi giudici della Corte Suprema con un procedimento che violava la Costituzione, scegliendo poi come presidente un pluriomicida come l'ex 007 Maikel Moreno. O che dal 2016 il Parlamento sia stato di fatto annullato dalla Corte Suprema e che il Consiglio elettorale chavista aveva cancellato milioni di firme raccolte legalmente per impedire un referendum previsto dalla Costituzione per revocare Maduro, già allora inviso dalla stragrande maggioranza del popolo venezuelano. Silenzio di tomba anche sui 150 morti, sui 20mila feriti, sugli 8mila arresti e sui migliaia di torturati e 623 prigionieri politici del 2017, con la farsa della Costituente comunista e la frode delle presidenziali del 20 maggio scorso. «Che per ora Padrino dicesse ciò che ha detto c'era da aspettarselo visti questi precedenti fa sapere un imprenditore italiano di Caracas che l'altroieri è sceso in strada a manifestare - io spero che con Guaidó le cose cambino, a cominciare dall'economia», aggiunge chiedendoci l'anonimato.
Già perché oltre ai desaparecidos di Petare si allunga la lista dei morti, 26 al momento della nostra chiusura ma il numero è destinato a crescere.
A detta degli analisti se gli Usa non smetteranno di pagare in contanti a Maduro 900mila barili di petrolio ogni giorno - garantendogli l'ossigeno per continuare a foraggiare non Padrino López ma anche i quadri intermedi delle Forze armate - il rischio è la somalizzazione del Venezuela.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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