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Le cariche pubbliche neutre per legge

Sono giorni che se ne discute. Giorgia Meloni ha chiesto di essere chiamata "il presidente" del Consiglio, e non "la" Presidente.

Le cariche pubbliche neutre per legge

Sono giorni che se ne discute. Giorgia Meloni ha chiesto di essere chiamata «il presidente» del Consiglio, e non «la» Presidente. E così linguisti, giornalisti, femministi e femministe si accapigliano tra regole grammaticali, furori ideologici, lasciapassare accademici, consuetudini, Tradizione e nuove modalità del linguaggio di genere. Ieri è intervenuto il segretario generale di Palazzo Chigi: l'unica formula da utilizzare è «Il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Giorgia Meloni». E ciò dovrebbe chiudere il caso. Tra parentesi: è surreale che l'intera nazione (altra parola sgradita a qualcuno), con tutti i suoi guai, sia appesa a un «il». In realtà la cosa è ancora più semplice. Non si tratta infatti di una questione grammaticale, né femminista né politica. Ma istituzionale. Di più: costituzionale. A prevederlo infatti è la Costituzione, testo inviolabile per tutti e soprattutto per gli alfieri e le regine del linguaggio inclusivo. Come fece presente già anni fa (erano i tempi del Presidente della Camera Laura Boldrini) il capo del Cerimoniale della Presidenza del Consiglio, Massimo Sgrelli, volgere al femminile la neutralità delle cariche pubbliche è una decisione incostituzionale: «La costituzione dichiara la parità di genere. Ciascuno ha libero accesso a cariche e impieghi pubblici senza distinzione fra uomini e donne. Non è possibile introdurre specifiche per sottolineare il genere di chi ricopre una carica pubblica, perché la Costituzione ha annullato, a monte, questa possibilità, affermando, appunto, l'eguaglianza generale». Di più. «Una decisione della Sindaca è un provvedimento amministrativo impugnabile, visto che la qualifica di Sindaca non è prevista dal nostro ordinamento e dalla legge» (attenzione: dietro l'angolo c'è pure la Corte dei Conti ad attendere che si faccia stampare carta intestata con dizioni non ufficiali per imputare il danno erariale della spesa). Conclude il capo del cerimoniale, e noi con lui: «Molte donne non sanno rinunciare ad affermare la propria personalità di genere anche dove non è consentito, non sapendo distinguere la terminologia letteraria e giornalistica (dove si può) da quella istituzionale (dove non si può), e molti uomini non vogliono opporsi a richieste femministe per non apparire arretrati».

Ecco il guaio.

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