Cronache

Caso Palamara, i "non ricordo" che possono inguaiare Davigo

L'ex Pm di Milano smentito dal collega e amico Ardita: sapeva dell'esposto sui veleni nella Procura di Roma

Caso Palamara, i "non ricordo" che possono inguaiare Davigo

Altro che chiacchiere, altro che conversazioni generiche di quelle che si dimenticano appena alzati da tavola. Su Piercamillo Davigo, il giudice simbolo di Mani Pulite, e sul suo ruolo nel «caso Palamara» ora incombe il sospetto di non avere detto la verità quando nell'ottobre scorso venne interrogato dalla Procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta su Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, sull'ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio e sull'ex pm romano Stefano Fava. Interrogato su due pranzi con Fava, Davigo ne ha minimizzato l'importanza, rifugiandosi nei «non ricordo» e escludendo che vi si fosse parlato a fondo dei veleni che agitavano la procura di Roma. E negando che si fosse parlato dell'esposto che Fava si accingeva a presentare contro il procuratore capo Giuseppe Pignatone, segnalando al Consiglio superiore della magistratura i rapporti d'affari tra il fratello dell'alto magistrato e alcuni inquisiti eccellenti.

Ora si scopre invece che proprio di quello si parlò negli incontri a pranzo con il collega romano. Quegli incontri diventano un passaggio cruciale dell'incrocio di veleni e di vendette di cui Davigo, prima di lasciare il Csm, è stato giudice. E non è tutto. Sui massimi vertici del Csm piomba l'accusa di avere insabbiato, con una procedura senza precedenti, l'esposto di Fava sui legami familiari e di affari del potente Pignatone.

A dare una versione dei pranzi opposta a quella di Davigo era stato già Fava: ma l'ex pm parlava da indagato, per difendersi e senza obbligo di verità. Ma ora si scopre che la procura di Perugia ha interrogato anche il magistrato che per anni è stato più vicino al «Dottor Sottile» del pool milanese: Sebastiano Ardita, fondatore insieme a lui della corrente «Autonomia e indipendenza», e insieme a lui eletto nel 2018 al Csm. Anche Ardita era presente ai pranzi del gennaio 2019 con Davigo e Fava. E il 3 novembre scorso dichiara a verbale: «A un certo punto Fava iniziò a evidenziare alcuni problemi che aveva nella gestione dei procedimenti alla Procura di Roma. Parlò di alcune consulenze che il fratello di Pignatone aveva fatto per qualche indagato eccellente, se non ricordo male per l'avvocato Amara. Disse che questi rapporti del procuratore creavano dei problemi all'ufficio e anche alla sua attività investigativa». Nel corso del primo pranzo, Davigo parla poco perché è senza voce. Ma di lì a pochi giorni gli stessi commensali si ritrovano al «Baccanale» e l'ex pm milanese sembra entusiasta del combattivo Fava: «All'inizio del pranzo - dichiara Ardita - Davigo fece presente a Fava che era interesse del gruppo coinvolgerlo direttamente nell'attività proponendolo in prospettiva come candidato al Cdc», il direttivo dell'Associazione nazionale magistrati. A quel punto arriva la rivelazione: «Fava si sentì gratificato ma fece anche presente che la situazione era peggiorata nel suo ufficio e che ormai era determinato a presentare un esposto al Consiglio superiore della magistratura». Davigo, insomma, sapeva dell'esposto. Invece a verbale, quando il 19 ottobre era stato il suo turno, dichiarò: «Escludo categoricamente che Fava mi disse che intendeva presentare un esposto»; se mi parlò di dissapori, aggiunge, «le sue lamentazioni erano così generiche che io non ne ricordo l'oggetto». Un caso clamoroso di smemoratezza o una balla colossale? L'interrogativo è cruciale, perché l'esposto preannunciato da Fava a Davigo diventerà uno dei reati contestati a Palamara.

Ma Ardita racconta anche cosa accade dopo, quando l'esposto approda al Csm. «La comunicazione di Fava rimase ferma al comitato di presidenza dal 2 aprile al 7 maggio (...) io pensai che si volesse remorare sulla sua trattazione». Quando arriva alla commissione competente, l'esposto di Fava è già accompagnato da un'istruttoria fatta dal comitato di presidenza, cioè dal vicepresidente Ermini e dai vertici della Cassazione. «Era la prima volta che vedevo in commissione una segnalazione già parzialmente istruita», dice Ardita. Una cosa, la commissione potrebbe ancora farla per andare fino in fondo: interrogare Fava. Ma le correnti di centro e di sinistra si oppongono. L'esposto di fatto viene insabbiato.

Il lato oscuro della Procura di Roma al Csm non interessa.

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