Politica

La Cassazione: «Gli attivisti non potevano seriamente far cambiare idea sulla Tav»

Avevano lanciato bottiglie incendiarie, razzi, petardi, bombe carte contro il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte, in Piemonte, all'ingresso del tunnel dove stavano lavorando gli operai, ma «non avevano intenzione di far del male». I No Tav, nell'assalto compiuto nella notte tra il 13 ed il 14 maggio del 2013, avevano distrutto un compressore e provocato danni per 94 mila euro, ma ciò nonostante il loro non fu un atto «con finalità terroristiche» o, per meglio dire, non può essere considerato «seriamente capace» di far sentire lo Stato «effettivamente coartato» a rivedere le decisioni sull'Alta velocità. Sono queste le motivazioni con le quali la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avanzato dalla procura nei confronti dei tre attivisti Lucio Alberti, Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, che parteciparono all'azione di danneggiamento insieme ad altre diciassette persone. «Le finalità terroristiche puntualizza la Cassazione - deve materializzarsi in un'azione seriamente capace di realizzare i fini tipici descritti dalla norma e non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico». Perché si possa parlare di finalità terroristiche chi compie un'azione deve voler danneggiare il Paese, intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici a compiere determinati atti o evitarne altri. Per la Cassazione al cantiere Tav di Chiomonte c'è stata sì, violenza, sono avvenuti fatti gravi ma non tali da essere considerati un tentativo di sovvertire le istituzioni. Per questo i responsabili di quell'attacco non possono essere considerati dei terroristi. Il tribunale di Torino, a dicembre dell'anno scorso, aveva annullato l'ordinanza con la quale il gip aveva applicato ai tre indagati la custodia in carcere per terrorismo, uniformandosi alle indicazioni già espresse dalla Cassazione che sulle violenze dei No Tav aveva raccomandato ai giudici di merito di non ricondurre ogni forma di dissenso alla matrice terroristica. Nel giudicare «infondato» il reclamo della procura, i giudici hanno ripreso i passaggi di una conversazione di Alberti, intercettato con un amico a Milano, nella quale spiegava che l'obiettivo era quello di «bruciare almeno una camionetta degli sbirri e due o tre mezzi del cantiere» e che l'azione aveva avuto un suo senso «politico» e che non si voleva «far male a nessuno». Una conversazione che, secondo la Cassazione è «affidabile» nel provare che non ci fu alcuna volontà «di ledere le persone».La procura, da parte sua, oltre a ritenere che gli assalitori, attaccando il cantiere con lanci di sassi e molotov, avessero implicitamente accettato il rischio di fare del male alle persone, avevano anche tentato di costringere le autorità nazionali ed europee a rinunciare a un'opera di interesse strategico come la Torino-Lione. Dunque avrebbero compiuto un atto terroristico. Per la Cassazione, invece, non è sufficiente l'intenzione di voler causare un grave danno «ma occorre che la condotta crei la possibilità concreta che si verifichi».

L'azione del maggio 2013, pur causando ingenti danni, non aveva generato alcuna conseguenza pratica: il cantiere ha proseguito la sua attività e non si è mai fermato.

Commenti