Catalogna col fiato sospeso Indipendentisti in vantaggio

Anche se in «esilio» o in carcere i leader autonomisti prevalgono per i sondaggisti. E fanno tremare Rajoy

Catalogna col fiato sospeso Indipendentisti  in vantaggio

Improbabile e confuso. Sono questi due aggettivi per spiegare, nemmeno tanto bene, che cosa succederà dopo domani. È una vera incognita, infatti, il futuro della Catalogna, all'indomani delle elezioni regionali che chiameranno poco più di quattro milioni di elettori a ridisegnare il Parlamento di Barcellona, sciolto il 2 novembre dal premier Mariano Rajoy.

C'è la necessità di restituire un governo degno di una Comunità, la più ricca e influente di Spagna, che non è mai uscita da un autunno disastroso, dove la politica ha più volte toccato il fondo e le spinte indipendentiste si sono alimentate delle scelte sconclusionate di politici ambigui e populisti disposti a provocare la frattura con Madrid (1° ottobre, referendum illegale per l'indipendenza), la disobbedienza alla Costituzione (27 ottobre, autoproclamazione a Stato indipendente) e, soprattutto, a ignorare quella grande fetta di catalani che in Spagna vuole restare (5 novembre, grande manifestazione per l'unità di Spagna).

Alle elezioni di giovedì, si presenteranno sette forze politiche, nessuna delle quali avrà, quasi certamente, più del 30 per cento dei voti. Da sabato scorso, per legge, giornali e tv non possono fare sondaggi e le incognite sono tante, dopo una campagna elettorale grottesca e irreale. Dei tre principali candidati alla presidenza, uno, Oriol Junqueras, leader della Sinistra repubblicana e indipendentista (Erc) è in carcere dal 2 novembre per sedizione, disobbedienza e malversazione di denaro pubblico. Se condannato, rischia di rimanerci trent'anni. L'altro, l'ex presidente Carles Puigdemont, ex leader di PDeCat, scioltosi nella lista unitaria coi sindaci secessionisti catalani JxCat, (Uniti per la Catalogna) ormai risiede a Bruxelles, memore che se varca i Pirenei, finisce a fare compagnia a Junqueras. Rimane Inés Arrimadas di Ciutadanos, anti-separatista, classe 1981, capo dell'opposizione al Parlament. I sondaggi la pongono una spanna sopra, ma che non è chiaro se avrà la maggioranza per farcela. È certo che, se JxC, Erc e Cup avessero la meglio, dovranno allearsi, trovando un accordo alle loro genetiche diversità politiche. Ma dopo la fuga a Bruxelles, la coesistenza tra il carcerato Junqueras - che da una cella di Madrid ha diretto la campagna elettorale via Skype con, non l'esiliato, ma il «turista» Puigdemont, detto Puigdi, sarà molto nervosa. Poi, c'è l'incognita dell'estrema sinistra anti-capitalista (Cup), tiepidamente secessionista, bastone che per meno di due anni, ha tenuto su il tripartito. È difficile pensare che si pieghino, ancora una volta, alle richieste di Junq o Puigdi. E poi, ancora, ci sono numerosi interrogativi conseguenti un'eventuale maggioranza indipendentista: da dove ricominceranno i secessionisti? Dal referendum farsa, senza censo del 1° ottobre? O dalla proclamazione a Repubblica catalana del 27 ottobre? Quindi ancora commissariati da Madrid? E ricondannati dalla giustizia? Come, poi, Junqueras, che sembrerebbe in rimonta, potrebbe governare dal carcere la Generalitat o Puigdemont dalle Fiandre, è una barzelletta. ERC e JxCat, mettendo da parte i rancori, potrebbero sì formare un nuovo governo con la Cup, arrivando a 68 seggi: è improbabile, ma possibile. E Rajoy lo scongiura.

Intanto Puigdi, acrobatico presidente senza rete, ha regalato l'ultimo brivido (o balla) alla disfida catalana:

ha annunciato lunedì il ritorno blitz a Barcellona per chiudere la campagna alla Zorro. Idea poi declassata, meglio usare la tv. «Rientrerò in patria da vincitore», ha detto. Probabilità che non è proprio dietro l'angolo.

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