MilanoE il primo novembre, quando avrete spento le luci sull'Expo, lei cosa farà? Il sindaco di Milano?
«No, non farò il sindaco. Se qualche milanese pensa che sarei adatto ne sono orgoglioso. Ma dopo questi cinque anni abbastanza duri ho bisogno di un periodo di riposo. La Patagonia mi sembra il posto adatto. E poi per fare il sindaco di Milano serve un politico».
Mancano cento giorni all'Expo, e se Giuseppe Sala, l'uomo nelle cui mani stanno le chiavi dell'unico grande evento di questi mosci anni italiani, comincia a avere un po' di tremarella, beh, bisogna dire che la nasconde bene. La sua creatura è sopravvissuta in mezzo a cento guai, dagli arresti dei manager ai lavori che non andavano avanti. Che tra i milanesi serpeggi un po' di scetticismo, specie quando passano dalla tangenziale e vedono solo uno sterminato cantiere, Sala lo sa bene; ma giura che gli scettici avranno modo di ricredersi.
Magari però non si aspettava che a sparare contro Expo, e proprio nel giorno in cui arriva Renzi in città per benedirla, fosse il partito del sindaco. Sel organizza un convegno per dire che siete nelle grinfie delle multinazionali.
«Chiunque è libero di dissentire e di vedere le cose a suo modo. Ma vivendo dall'interno, questo fantasma delle multinazionali che si sono impadronite di Expo mi sembra una follia. Non è che se la Coca Cola ha un padiglioncino per far vedere la bibita del futuro ci siamo asserviti alle multinazionali».
Converrà che l'Expo che sta prendendo forma è un po' lontana dalla saga del chilometro zero che qualcuno aveva in mente. Si aspetta contestazioni?
«C'è una logica che tende a negare in sé il valore di Expo. Non possiamo rispondere: Hai torto, anche se mi piacerebbe che a cento giorni tutti dessero una mano. Dobbiamo dimostrare nei fatti che questo valore c'è».
Ci riuscirete?
«Penso proprio di sì».
Tutti pensano che siate indietro con i lavori. Dove sono i ritardi maggiori?
«Ci sono alcuni paesi che hanno aderito tardi, come Olanda e Turchia, che sono indietro, e altri come Estonia e Lituania che hanno avuto difficoltà dovute ai ricorsi».
E per la parte che vi compete direttamente?
«Ci sono alcune infrastrutture del sito, gli accessi, le tornellerie, che devono accelerare. Ma ce la faremo, sono abbastanza tranquillo. Se riusciamo ad aprire in tempo e bene, il cinquanta per cento del lavoro è fatto».
Poi bisogna che la gente ci venga.
«Ad oggi abbiamo venduto sette milioni e ottocentomila biglietti. Per il giorno dell'apertura saremo a dieci milioni. Alla fine, arriveranno venti milioni di persone».
Lei crede che Milano sia in grado di reggere l'urto di venti milioni di visitatori?
«Reggerà. Sarà un passaggio di dimensione inusuale, i problemi ci saranno, ma ce la farà e per la città sarà un bene, perché questa è una città che senza una apertura forte all'internazionalità rischia di asciugarsi. Sa cosa sarà Expo?»
Francamente no.
«Sarà uno strappo. Sarà la discussione di un grande tema, ma anche una enorme occasione turistica. Per questo parlo di strappo. L'Italia è passata dal primo al quinto posto nelle destinazioni turistiche. Pensare di recuperare il tempo un po' per volta, in modo lineare, è una illusione. Servono anche gli strappi, le occasioni che ti costringono a cambiare le cose. Vendere il prodotto Italia in Cina è relativamente facile, però poi al cinese per venire in Italia serve un visto, per il visto serve un consolato, e lì cominciano i dolori».
Le dispiace che i bronzi di Riace non vengano all'Expo?
«Molto. Hanno parlato di difficoltà nei trasporti, ma nella mia cultura le difficoltà dipendono dagli investimenti. I Bronzi avrebbero avuto un richiamo enorme».
Invece così perché i turisti dovrebbero venire, padiglioni a parte? Cosa succederà a Milano in quei mesi? Sarà una interminabile settimana della moda?
«Da uomo di marketing, capisco che sia giusto parlare di migliaia di eventi. Ma poi a attrarre i turisti saranno i grandi episodi: la Scala, il Cenacolo sempre aperto, i concerti. Io sono rimasto ammirato e anche stupito da come si è mossa la Veneranda Fabbrica del Duomo, ha messo in piedi un palinsesto incredibile, mai visto. E credo che quando alla vigilia, la sera del 30 aprile, suoneranno tutte insieme le campane di Milano sarà una emozione indimenticabile».
Tangenti e infiltrazioni criminali: se ne aspettava di più o di meno?
«Speravo che non succedesse nulla. È accaduto in modo inaspettato e con una modalità veramente sciocca, con un nostro manager che si è fatto irretire dalle promesse di due vecchi volponi».
La politica ha fatto apposta a ritardare tutto perché arrivando all'emergenza c'erano meno controlli?
«La politica faceva troppo da padrona in un processo che doveva essere manageriale.
All'inizio c'erano dei riti pazzeschi, l'amministratore delegato non poteva assumere neanche la sua segretaria. Quando parlo con il mio amico Malagò, che vuole portare le Olimpiadi del 2024 in Italia, un paio di consigli su come deve essere gestita la governance glieli do di sicuro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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