La Cei scomunica i giudici: "Dettano i tempi alla politica"

Il numero due dei vescovi Galantino all'attacco della magistratura: non siamo in un Paese normale

La Cei scomunica i giudici: "Dettano i tempi alla politica"

L'Italia «non è un Paese normale», «la politica non ha fatto il suo mestiere», delegando alla giustizia la decisione sulla legge elettorale. È un affondo duro quello di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che all'indomani della sentenza della Consulta sull'Italicum, entra a gamba tesa e attacca la politica a tutto campo. Posizioni che allineerebbero il numero due dei vescovi italiani al Movimento 5 Stelle, a quel populismo che lo stesso Galantino prende però di mira: «I populisti - dice - non si combattono con i populismi».

Sulla legge elettorale, per il vescovo, la politica sta abdicando le sue funzioni per delegarle a un altro potere, quello giudiziario. «È sotto gli occhi di tutti che le due ultime leggi elettorali siano il frutto di un pronunciamento dei giudici. Questo significa, evidentemente, che la politica non ha fatto bene il suo lavoro. Ma non è un Paese normale - sottolinea Galantino al termine del Consiglio permanente della Cei - quello nel quale è la magistratura a dettare i tempi e i modi all'amministrazione. Significa che la politica non ha fatto il suo mestiere. La politica deve riflettere e interrogarsi su questo» perché «chi è incaricato e pagato per far funzionare il sistema politico non sa farlo, mentre ci sono altre persone che lo stanno facendo al posto loro». Una critica durissima alla politica ma anche alla magistratura, che, appunto, indica la linea alle altre istituzioni. Cosa che non dovrebbe fare.

Chiarezza, da parte di Galantino, anche sulle elezioni, sui tempi e modi. «La politica ora non salti sulla sedia per decidere quando votare ma rifletta sui motivi», avverte. «Non sono importanti i tempi per giungere alle elezioni, anche perché possono essere un diversivo, usate solo per chi si vuole contare, anche all'interno di una stessa compagine partitica, o per capire chi vuole comandare». L'auspicio, invece, è che le elezioni, «quantunque si facciano, costituiscano una risposta concreta alle domande, anche drammatiche, degli italiani. Le elezioni devono essere un modo concreto per contribuire a risolvere i problemi e non per rimandarli. Non è normale un Paese in cui per prendere decisioni si aspetta che sia qualcun altro a decidere: lo trovo drammatico».

Poi l'attacco più duro al governo, quello sulla mancanza di fondi per la famiglia e il salvabanche. «Abbiamo denunciato il ritardo del governo nell'attenzione alle famiglie, il motore dell'Italia. Qualche vescovo si è chiesto come mai negli stessi giorni si sono trovati 20 miliardi di euro per aiutare le banche e si sono rimandati i provvedimenti per la famiglia perché non si trovavano i soldi», attacca Galantino, riferendosi al decreto del governo per salvare Monte dei Paschi di Siena. Per il numero due della Cei, molto vicino alle posizioni di Papa Francesco, «continuare a ritardare la serenità delle famiglie significa ritardare la serenità del Paese e consegnarlo in mano ai populisti. D'altronde, i populisti non si combattono con altri populismi, populismi fatti da proposte campate in aria, ma con politiche attive per i giovani e il Mezzogiorno». Per questo, «da parte dei vescovi italiani si alza forte la voce per chiedere un piano nazionale contro la povertà», insieme alla denuncia sui ritardi «inspiegabili per il varo dei decreti attuativi che diano certezza a provvedimenti a favore della famiglia». Infine, in tema di immigrazione, il prelato rilancia una proposta già avanzata dal cardinale Bagnasco.

«I vescovi italiani chiedono che si stabilisca l'affido a case famiglia per i minori non accompagnati e che si stabilisca uno Ius Soli, o meglio uno Ius Culturae ai bambini che abbiano compiuto un ciclo scolastico in Italia».

Galantino si starà forse preparando a scendere in campo nella Cei del dopo Bagnasco?

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