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La cena di gala di Milano è un caso. Un invitato: troppe fuoriserie, non entro La serata (e i presenti) rivelano che il partito è già da tempo diviso in due

MilanoChe la rivoluzione non possa essere un pranzo di gala, lo aveva chiaro già il Grande timoniere Mao Tse Tung. E ora lo deve aver scoperto anche il premier Matteo Renzi, dopo aver attovagliato centinaia di persone tra giovedì a Milano e ieri a Roma al Salone delle fontane nell'architettonicamente fascistissimo quartiere dell'Eur. Roba da un migliaio di euro (almeno) a testa per risotto, secondo e dolce (seppur di Farinetti) annaffiati da un po' di vino.

Una spaccatura che mette altro sale sulle ferite del Pd, con tanti che hanno ancora una volta sconfessato la deriva liberal e ora anche mondana del segretario. Particolarmente lucido l'ex coordinatore milanese e oggi deputato Pd, il bocconiano Francesco Laforgia. «Chi contribuisce materialmente al tuo progetto - dice piuttosto amaro - è, deve essere, parte della tua identità, il segno della direzione che vuoi intraprendere». E confessando di aver dato buca perché trattenuto a Roma dalla legge di Stabilità, aggiunge che «a proposito della cena, il mio problema è questo: quella direzione di marcia non mi convince fino in fondo e non vorrei che perdessimo per strada tanti commensali a cui dovremmo ricominciare a parlare per restituire il senso di un cammino in crisi di identità». A mettere le mani avanti era già stato l'oggi segretario metropolitano Pd Pietro Bussolati. «Chi è per un partito forte che offra luoghi di discussione, organizzi iniziative, sostenga i circoli, promuova senso di identità e sappia contrastare il conservatorismo ed è contestualmente contrario alla cena di stasera vive in un ossimoro, mi spiace!».

Il ritorno alle salamelle contro l'ossimoro. Perché le tavole imbandite sono state sicuramente un successo per le casse del tesoriere Francesco Bonifazi, ma non per l'altro veleno messo in circolo in un partito che ha trovato anche nel menù (e soprattutto nel conto) un altro buon motivo per spaccarsi. Perché su una barricata ci sono i soliti pretoriani come il ministro Maria Elena Boschi a difendere l'ultimo restyling , dall'altra i nostalgici pronti a condannare la sfilata di tacchi 12, pellicce, Porsche, Jaguar e imponenti Suv che hanno trasformato la cena nel prestigioso Mall milanese di Porta Nuova nell'addio alla vocazione popolare. «L'importante - ha tagliato corto un'agghindatissima Alessandra Moretti già pronta a correre da governatore in Veneto - è che queste iniziative vengano fatte in modo trasparente».

«Chissà cosa direbbe Enrico Berlinguer», borbottava in coda un invitato. «No, non pago io. Paga l'azienda. E scarica». Solo uno dei tanti portoghesi. Perché di fronte alle tivù arrivate per la prima cena di raccolta fondi a tre zeri del Pd, pochi dicono nome e cognome e confessano di aver fatto il bonifico. Con moglie (o fidanzata), fanno 2mila euro. Toilette più da Prima della Scala che da convention di partito, anche se quel fascio tricolore sparato in sala deve aver fatto sentire meno a disagio quegli imprenditori abituati a frequentare ambienti più orientati a destra. «Io ho sempre votato centrodestra. Ma sono qui per ascoltare». «Sono curioso». «È giusto dare una possibilità anche a Renzi». Lei vota Pd? «Io ho votato a destra e a sinistra». Voterà Renzi? «Sono qui per ascoltare». Guido Roberto Vitale l'altra volta aveva messo 5mila euro. «Questa volta mille». Capitolo smentite. Ieri, dopo una lunga lista, è arrivata anche quella del presidente di Telecom Italia Giuseppe Recchi dato per presente giovedì sera al Mall di Milano.

«Ero a Roma».

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