Centrodestra unito alle consultazioni tra il no e il sostegno Meloni: "Al massimo ci asteniamo tutti"

È il primo vertice del centrodestra con Conte sfiduciato non solo dalla sua maggioranza ma anche dal presidente della Repubblica

Centrodestra unito alle consultazioni tra il no e il sostegno Meloni: "Al massimo ci asteniamo tutti"

È il primo vertice del centrodestra con Conte sfiduciato non solo dalla sua maggioranza ma anche dal presidente della Repubblica. Fatto questo che merita un applauso liberatorio a inizio seduta. Un applauso voluto dai presenti anche per celebrare la coesione della coalizione. Fattore che gli stessi Meloni e Tajani e il «padrone di casa» Salvini (la riunione si è tenuta come le precedenti nelle stanze del gruppo della Lega a Montecitorio) considerano determinante per l'evoluzione della crisi e per la sua probabile soluzione con un governo guidato dall'ex numero uno della Banca centrale europea.

In verità il vertice è durato poco. Non c'era molto da discutere. Mancavano dettagli troppo importanti per prendere delle decisioni. Prima di tutto serve sapere che tipo di governo sarà: tecnico o politico? E non è stato molto utile nemmeno assistere tutti insieme (oltre al vicepresidente azzurro, al leader di Fratelli d'Italia e al «padrone di casa» c'erano anche Maurizio Lupi di Noi con l'Italia, Antonio De Poli in rappresentanza dell'Udc, il governatore della Liguria Giovanni Toti per Cambiamo! e in collegamento video il presidente Berlusconi) alla dichiarazione di Draghi una volta uscito dal colloquio con il capo dello Stato. C'è stato, poi, spazio appena per mangiare la pizza, e quindi riaggiornarsi in attesa di attesa di capire che cosa proporrà il «salvatore dell'euro» ai partiti che compongono la diciottesima legislatura.

I temi sul piatto non erano pochi. Il primo, forse il più importante e anche il più complesso, è come sarà la delegazione che si presenterà a Mario Draghi durante le di lui consultazioni: unitaria, come al Quirinale, o spacchettata? La questione è stata discussa tra i partecipanti, divisi sul tema, e si è deciso di sciogliere le riserve in futuro.

Alcuni vorrebbero decidere subito, altri preferirebbero aspettare, anche in base alle diverse sensibilità dei singoli partiti. In ogni caso tutti sono d'accordo sulla strategia del wait and see: al primo incontro con Draghi, ascoltare che cosa propone e poi prendere una decisione il più possibile unitaria. A iniziare dallo stesso leader azzurro che, collegato via Zoom, raccontano, avrebbe suggerito o di muoversi a piccoli passi e di rinviare ogni commento a dopo le consultazioni con l'ex presidente della Bce. Una linea, quella del presidente di Fi, condivisa anche da Matteo Salvini che all'uscita dal summit dice: «Siamo realisti, nessun pregiudizio nei confronti del professor Draghi». E che durante il vertice ha proposto di andare in delegazione unitaria all'incontro. Per il segretario della Lega è una specie di prova d'affidabilità e europeismo, di fronte agli italiani ma ancor di più di fronte al mondo dell'economia e della finanza che guarda all'Unione europea come un punto di riferimento imprescindibile.

Salvini, insomma, dovrebbe provare di non essere capace solo di raccogliere voti in campagna elettorale ma anche di seguire strategie politiche in situazioni in cui non si sente propriamente a suo agio, come da sempre gli suggerisce Giancarlo Giorgetti. In questa chiave lo si può ascoltare dichiarare: «Ascolteremo Draghi, non abbiamo pregiudizi. Draghi ci incontrerà e andremo a capire, a proporre e valutare. C'è una persona che ha lavorato bene in Europa, essendo una persona di questo livello andremo a capire».

Diversa la posizione della Meloni. Se si è mostrata d'accordo a rinviare le decisioni in presenza di elementi più qualificanti, la leader di Fratelli d'Italia ha subito immaginato uno scenario di voto in aula. Proponendo, in questo caso, l'astensione compatta di tutti i partiti della coalizione. Di sicuro, avverte la Meloni, noi non possiamo «appoggiare il governo di un banchiere» ed è tornata a insistere sulla via del voto come «via maestra» per risolvere la crisi.

Berlusconi, raccontano i suoi, si sarebbe soffermato sul nodo della giustizia, da sempre cavallo di battaglia di FI, esprimendo preoccupazione su prossimo Guardasigilli. «Spero che Draghi non metta alla Giustizia un ministro giustizialista», sarebbe stata la battuta dell'ex premier, secondo quanto riferito da fonti parlamentari. Mariastella Gelmini, capogruppo azzurra alla Camera, sottolinea soprattutto la novità rappresentata dall'assegnazione dell'incarico all'ex numero uno della Banca centrale europea e coglie un sentimento comune a tutto il centrodestra: quello della «gratitudine» nei confronti del presidente della Repubblica.

«La gestione della crisi da parte di Mattarella è stata ineccepibile - dice -e la sua coraggiosa scelta ha sancito, come era inevitabile, la dissoluzione di una maggioranza e di un governo non all'altezza della serietà della crisi».

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