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"Che" brutta fine. La foto simbolo di lotta ridotta a gadget

Guevara era omofobo, razzista e omicida Ma uno scatto lo consegnò al mito. Falso

"Che" brutta fine. La foto simbolo di lotta ridotta a gadget

È il santino profano globale, la faccia stessa della revolutìon, l'immagine pop più clonata di sempre. Il volto del Che con il baschetto con la stella, i capelli lunghi come una rockstar e lo sguardo altrove, scattata il 6 di marzo di sessant'anni fa, fu il «colpo di fortuna» di Albert Korda, anche se la sua suerte non è mai stata economica, visto che quel fotogramma, il numero 40 uscito dalla sua Leica M2, comprata da un rigattiere e venduta all'asta per 18mila euro, non gli ha regalato un pesos, ma ha fatto ricchi tanti, assorbita e stritolata dal capitalismo che voleva combattere, trasformata in gadget dai suoi nemici. «Guerrilheiro Heroico», così si chiama la foto, o «Che in the sky with jacket» è stata la viralità prima di internet, global e no global al tempo stesso. Doveva fotografare Fidel quella mattina Albert Korda, vero nome Alberto Diaz Gutierrez, fotografo alla moda diventato cantore del castrismo, invece quando Guevara salì sul podio ai funerali di 144 cubani uccisi da un'esplosione sulla fregata La Coubre «schiacciai l'otturatore e nello stesso tempi ebbi una spinta all'indietro, quasi di paura di fronte a quell'espressione». Senza quella foto, che Giangiacomo Feltrinelli si fece regalare da lui per trasformarla nel poster del Sessantotto, il mito del Che forse non sarebbe mai nato.

È stata la faccia delle proteste di strada, dalle barricate del maggio francese, delle lotte contro la guerra del Vietnam, della guerriglia repubblicana irlandese, così come delle marce contro la privatizzazione dell'istruzione in Colombia, per i diritti alla terra in Messico, degli indignados di ogni ordine e grado. E più modestamente il tatuaggio sulla pancia di Mike Tyson e sulla spalla di Diego Armando Maradona, il disegno sulle mutandine di Gisele Bündchen e sui murales che lo affiancano a Bin Laden. Anche se, populista e controculturale al tempo stesso, conserva in qualche angolo del mondo un ruolo pedagogico ai limiti del paradosso, fino ad autorizzare comportamenti e proibirne altri. Come l'immagine, comparsa dalla sera alla mattina su un murales davanti alla parrocchia di Enero a Caracas, dove i venezuelani del quartiere gettavano i rifiuti. Dopo la comparsa della faccia del Comandante, la spazzatura è scomparsa.

Ma «Guerrilheiro Heroico» è finita con l'essere il merchandising di un generico ribellismo, della voglia astratta di cambiare il mondo, un marchio usato per vendere di tutto dalle sigarette alla vodka, dai fazzoletti di carta agli scaldamuscoli, dai pacchetti turistici per Cuba ai videogiochi giapponesi. Persino un gelato, il Cherry Guevara, «la forza rivoluzionaria di una ciliegia rossa tra due strati di cioccolato», una Coca «El Che Cola», senza alcol, con poco zucchero e con un gusto meno aggressivo di quella yankee, e un detersivo: «Il Che lava più bianco». Anche la Chiesa inglese lo usò per fare proseliti sostituendolo all'immagine di Gesù, la corona di spine al posto del baschetto, ma non funzionò. Oggi esistono siti internet specializzati nel vendere oggetti made in Che come thechestore.com o fidelche.com.

Ma come tutte le icone racconta una storia diversa dal vero. Il Che, simbolo di pace con Gandhi e Maria Teresa di Calcutta, e di «fate l'amore, non fate la guerra», era in realtà una fredda macchina omicida con 144 assassinii certi sulla coscienza, compagni di guerriglia, poliziotti uccisi di fronte ai figli, ragazzini e decine di oppositori politici fucilati nel Forte della Cabaña, fatti fuori al paredón. Un omofobo razzista che si vantava all'Assemblea dell'Onu «abbiamo fucilato, fuciliamo e fino a quando sarà necessario», che istituì, proprio l'anno di quella foto, il primo campo di lavori forzati a Cuba per gay, nella regione orientale di Guanahacabibes, all'entrata del quale c'era scritto «il lavoro vi renderà uomini». Un uomo che predicava «l'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente contro il nemico» e l'atomica su New York: «Dobbiamo percorrere la strada della liberazione anche se costa milioni di vittime atomiche». Anche lui amava una foto quella del «vecchio e compianto compagno Stalin su cui ho giurato».

In fondo solo la banalità del Mito.

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