C'è un Paese che ha messo fuori legge la Fraternità Islamica, che è molto fraterna con i nostri nemici e invia dovunque predicatori di odio contro di noi. Si chiama Egitto e ha alla testa un dittatore meno simpatico di Gheddafi. Di nome fa Al Sisi e ha promosso la prima seria riforma dell'Islam ma non ha buone maniere. È alleato dei russi e con essi cerca di dare in testa dove può e come può al Califfo. Gli servono aerei da combattimento per impiegarli nel golfo della Sirte. Gli si rompono. Noi prima gli offriamo i pezzi di ricambio. Li impacchettiamo. Ci costa zero. L'Egitto usa gli F-16, noi li abbiamo dismessi, ingombravano i magazzini. In fondo Al Sisi combatte anche per noi, soprattutto per noi, visto che senza di lui non si può certo pacificare la Libia. Che facciamo? Per dispetto non glieli spediamo più. Motivo? Al Cairo è stato ammazzato un ricercatore italiano, Giuliano Regeni. È stato torturato orribilmente. Probabilmente c'è di mezzo la polizia, più probabilmente servizi segreti deviati, fazioni ostili ad Al Sisi. Il governo italiano, dinanzi a reticenze e opacità egiziane, ha già fatto il passo più forte che in diplomazia si possa fare con un alleato: ha richiamato l'ambasciatore. Ma la verità su Regeni non salta fuori. Così il Senato decide di punire l'Egitto negandogli, grazie a un apposito emendamento, la fornitura di pezzi di ricambio. Chissenefrega se l'aviazione egiziana non potrà domani fare un blitz contro i miliziani dello Stato islamico perché manca uno spinterogeno. L'idea è partita dalla Sinistra italiana, ed è stata fatta propria entusiasticamente dal Partito democratico. Il decreto in discussione ha per titolo «le missioni italiane all'estero». Non è che la nostra missione è impedire quella degli altri? Ci chiediamo in che modo e in che senso Giuliano Regeni ne sia onorato. Di certo non lo è fare una cortesia al Califfo e alla sua longa manus dentro i servizi segreti egiziani.
Dopo il caso Egitto, resta il caso Turchia. Si piangono i morti di Istanbul. Ma politici e intellettuali italiani anche in questo momento si precipitano addosso a Erdogan. Gli vuole chiudere le porte in faccia dell'Europa. Erdogan lo meriterebbe. Ha ristretto le libertà. Ma si osservi lo specifico. È esattamente ciò che vogliono i terroristi di Al Baghdadi. È un attentato non solo contro la Turchia, ma contro la Turchia nel suo essere europea. Prima di quest'ultimo c'erano già stati sei attentati nel 2016 in territorio turco. A colpire sono gli uomini del Califfo, che si sentono traditi dal Paese e dal governo che fino allo scorso anno era una sorta di Stato cuscinetto, neutrale se non favorevole sotterraneamente alla Jihad. La risposta politica, l'unica che ci salva, non è di trattare Erdogan come un criminale, ma riallacciare rapporti di più forte collaborazione con l'Occidente. Il terrorismo, come la mafia, colpisce chi è isolato. Con questo attentato, il Califfo prende atto della scelta di campo ostile di Erdogan e gli manda un segnale terrificante. Che si fa? Anatema sulla Turchia? Teniamola lontana? No, il contrario. In questo momento si tratta di creare le condizioni di amicizia, di democrazia, di diritti umani e di sicurezza tali da poter coinvolgere la Turchia nell'Unione Europea, secondo livelli di appartenenza graduali ma senza umiliazioni. Ci sono di mezzo ragioni di giustizia e di solidarietà verso un grande popolo, ma anche sani calcoli di realismo politico. Non ci possiamo permettere un gigante economico, militare, culturale, geopoliticamente essenziale, alle nostre porte, in balìa di spinte e ricatti del radicalismo islamico. Una guerra totale in corso con il Califfato nelle sue varie diramazione non consente la neutralità di nessuno.
Altrimenti la guerra mondiale a pezzi (Francesco dixit) diventerebbe un unico gigantesco blocco che schiaccerà la libertà e la vita peggio delle altre guerre mondiali. Vale per l'Egitto, vale per la Turchia. Non rifacciamo con Al Sisi ed Erdogan come con Gheddafi e Saddam. Saranno cattivi, ma è più cattivo il Califfo.
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