Le manifestazioni di piazza, bianche o rosse, non ci sono mai piaciute. E non ci piacciono quelle verdi, figuriamoci quelle nere. Ci sembrano nocive. E quando vanno bene, producono comunque casino: paralizzano il traffico, danneggiano le città, mettono a rischio l'incolumità della gente, costringono i negozianti ad abbassare le saracinesche. Spesso poi scoppiano disordini, nel qual caso ci va sempre di mezzo la polizia, che prende le botte e, se le restituisce, è fascista. Nonostante ciò, non riusciamo a capire perché i cortei della Cgil, degli antagonisti e dei comunisti in maschera siano considerati espressioni democratiche, accettabili e addirittura apprezzabili, mentre quelle dei loro avversari sono schifezze da vietare, aborrire, condannare.
D'accordo, esteticamente i leghisti a volte fanno ribrezzo, alcuni di loro, se si tratta di sfilare e di protestare, si abbigliano in modo stravagante ed esibiscono strani elmi muniti di corno. Se la tirano da nibelunghi, vantandosi di apparire simili ad essi, e non si rendono conto di essere grotteschi. Ma non si può dire che nella forma e nella sostanza siano più sgradevoli e tragicomici dei progressisti stradaioli. Cambiano i colori delle bandiere e gli slogan, ma l'imbecillità dello spettacolo è sempre la medesima.
E allora domandiamo agli schifiltosi che impediscono agli ex padani convertitisi al nazionalismo di occupare oggi Roma, per quale motivo, a parità di stupidità qualcuno possa manifestare e qualcun altro no. In base a quali criteri si distinguono gli italiani abilitati a organizzare un po' di caciara nella capitale e quelli cui invece non è consentito calpestarne il suolo per indegnità? Basta riflettere un attimo sulla questione per comprendere che la sinistra si autoproclama depositaria di diritti inalienabili, negandoli arbitrariamente a coloro che le stanno sul gozzo. Comportandosi così, essa rivela non solo di ignorare in che cosa consista la democrazia, ma anche di contrastarla de facto . Ecco perché, pur detestando le manifestazioni di piazza, pensiamo che quella leghista, in scena oggi, sia legittima quanto quelle degli eredi spuri di Botteghe Oscure e affini, viola e No Tav inclusi.
Altro argomento, conseguenza del primo. C'è chi deride la Lega perché ha cambiato ragione sociale, passando dal nordismo più efferato a una sorta di nazionalismo d'antan e rigettando i presunti valori trasmessi al Carroccio dal dio Po. Pur non essendo noi esegeti dell'ideologia salviniana, siamo in grado di spiegare la svolta in poche parole. Il Paese, rispetto a vent'anni or sono, quando Alberto da Giussano iniziò a menare fendenti con lo spadone, è mutato radicalmente. La crisi attualmente è l'unico elemento di unità nazionale. La disperazione del Sud è la stessa del Nord, suscitata dalla mancanza di lavoro e dall'abbondanza della miseria globalizzata. Gli immigrati clandestini o rifugiati, o come diavolo li chiamano i sacerdoti del politicamente corretto, hanno superato i terroni nel fastidio provocato. D'altronde, l'evoluzione ci ha insegnato che gli ultimi arrivati in un luogo sono ritenuti sempre i peggiori. Pertanto fra Settentrione e Meridione non c'è più ragione di contrasto, bensì si impone un'alleanza. Contro chi? Ovvio. Contro il governo (ladro anche se non piove), contro l'Europa aguzzina e le sue regole spietate e idiote, contro l'euro dispensatore di nequizie. In Francia trionfa il lepenismo, avviato a diventare egemone. Da noi cresce a dismisura il consenso per Matteo Salvini, emulo di Marine Le Pen che fino a qualche anno fa pareva destinata a marcire nella marginalità. Francia e Italia vivono analoghi disagi, soffrono degli stessi problemi. sperano di riconquistare la propria sovranità e ambiscono a riscattarsi dalla schiavitù di un'Ue germanocentrica e prepotente.
Giusto? Sbagliato? Non è questo il punto, ciascuno ha le proprie opinioni. Vedremo chi ha torto quando non sarà più possibile riparare eventuali errori. Per il momento è sufficiente riconoscere che il fenomeno Lega-Fratelli d'Italia non è incidentale e non si reprime negandogli la possibilità di esprimersi e di agire allo scopo di affermarsi.
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