«A chi le riserve d'oro? A noi». Scoppia il caso

Perché i 90 miliardi di lingotti non si possono toccare: la gestione spetta alla Bce

Gian Maria De Francesco

Roma Risolvere i problemi del bilancio pubblico con i 90,8 miliardi di euro di consistenza della riserve auree della Banca d'Italia a fine gennaio? Non si può. Mettere le mani sulle oltre 2.450 tonnellate di lingotti che Via Nazionale detiene nei propri caveau, in quelli della Federal Reserve, della Banca d'Inghilterra e della Banca dei regolamenti internazionali è proibito. Certo, tanto il Movimento 5 stelle quanto la Lega Nord hanno rispolverato in questi giorni i propri dossier sovranisti concentrandosi sul fatto che quel «tesoro» sia di proprietà degli italiani e non di un ente i cui soci sono in maggioranza privati. Problema che non si poneva prima del 1992 quando tutto il sistema del credito (o quasi) era in mano pubblica.

Il Trattato dell'Unione all'articolo 127 attribuisce alla Banca centrale europea il compito di «detenere e gestire le riserve ufficiali» dei Paesi aderenti all'Eurozona. La Banca d'Italia, inoltre, ha spesso sottolineato che la gestione delle riserve è vincolata allo statuto dell'Eurosistema e contribuisce a fronteggiare i rischi che Palazzo Koch è chiamata a fronteggiare nello svolgimento delle sue attività. Si tratta, perciò, di uno «scudo» che garantisce la stabilità del sistema finanziario. E sulla base del quale l'Eurotower è in condizione di intervenire sui mercati per attutire l'impatto dello spread. Questo non in quanto l'oro venga utilizzato per gli acquisti di Btp, ma in quanto testimonia la convinta adesione del Paese alla carovana della moneta unica. Non a caso i governi Prodi nel 2007 e Berlusconi nel 2009 videro bocciate la proposta di usare l'oro (il primo) e di tassarne la rivalutazione (il secondo).

Non c'è, tuttavia, un esplicito riferimento alla proprietà delle riserve ed è su questo vacuum che fa leva la maggioranza di governo. «Detenzione è diverso da possesso: qui interviene la proposta di legge che ho depositato, che è in discussione in questi giorni e che porteremo avanti», ha spiegato il presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi Aquilini sottolineando che «non c'è nessun interesse a vendere». L'Eurotower ha tuttavia fatto sapere che in questi giorni è in arrivo la risposta all'interrogazione presentata dagli europarlamentari Marco Valli (ex M5S) e Marco Zanni (Lega) che hanno chiesto alla Bce «di chiarire la proprietà legale delle riserve auree degli Stati membri» e «di far sapere in che modo possa disporre di tali riserve».

La Banca d'Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo Fed, Bundesbank e Fondo monetario internazionale. I suoi 90 miliardi potrebbero fare comodo alla vigilia di due manovre (2020 e 2021) contenenti 52 miliardi di clausole di salvaguardia su Iva e accise. Se l'Italia fosse in grado di derogare al principio di autonomia e di indipendenza delle banche centrali e Via Nazionale assentisse alle richieste del governo, l'immissione di un ingente quantitativo di oro sul mercato ne deprezzerebbe il valore. Anche se non venisse venduto in soluzione unica, si raccoglierebbe meno di quei 90 miliardi ora iscritti a bilancio.

Se, in ogni caso, si raccogliessero i 52 miliardi necessari, qualsiasi governo sarebbe vincolato a non fare più troppo deficit perché la soluzione non sarebbe facilmente ripetibile. Un po' come quando si vendono i gioielli di famiglia.

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