«Chi sono gli str... da schiacciare» Concorsi truccati: 60 prof indagati

Nomine stabilite a tavolino. Sospeso il rettore di Catania

Patricia Tagliaferri

Il merito non era un requisito richiesto per ottenere cattedre, borse di studio o dottorati di ricerca. Anzi, i docenti che dovevano far parte delle commissioni, selezionati in tutta Italia, si preoccupavano di non interferire sulla scelta dei futuri vincitori. E guai anche solo pensare di presentare ricorsi amministrativi. All'università di Catania c'era un codice di comportamento sommerso secondo il quale gli esiti dei concorsi dovevano essere predeterminati dai professori interessati.

Ventisette concorsi ritenuti truccati (17 per professore ordinario, 4 per professore associato, 6 per ricercatore), 66 indagati tra cui 60 professori universitari, su cui il Miur ha avviato verifiche, 40 dell'università siciliana e altri 20 degli atenei di Bologna, Cagliari, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona. È il bilancio dell'operazione della Digos etnea «Università bandita» che ha portato alla sospensione dal servizio del rettore di Catania, Francesco Basile, dell'ex rettore Giacomo Pignataro e di altri 8 professori. Per loro i pm di Catania avrebbero voluto l'arresto, ma il gip non ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari. «Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare», dice Barone intercettato dagli investigatori riferendosi agli altri candidati mentre parla con quello destinato a vincere. Per chi prova a reagire alle ingiustizie il codice prevede un preciso apparato sanzionatorio, le violazioni sono punite con ritardi nella progressione in carriera o con l'esclusione da ogni valutazione oggettiva del proprio curriculum. Ma c'è anche chi, avendo presentato ricorso, sarebbe stato minacciato di ritorsioni nei confronti della moglie, destinata in futuro a non far più parte delle commissioni. «Hanno pestato la merda ora se la piangono», commenta l'azzardo un altro indagato. Secondo i magistrati una vera e propria associazione a delinquere, con a capo il rettore dell'università di Catania e il suo predecessore, volta «ad alterare il naturale esito dei bandi di concorso», anche quelli per l'assunzione del personale tecnico-amministrativo e per la composizione degli organi statuari dell'ateneo. Il cda sarebbe stato deciso a tavolino da Pignataro e Basile che, secondo l'accusa, avrebbero fatto arrivare ai componenti del Senato accademico dei «pizzini» con i nomi di chi doveva farne parte. C'è un'intercettazione in cui si parla proprio di questa modalità di voto: «È andata...abbiamo fatto questo consiglio di amministrazione, abbiamo votato con i pizzini, in piena democrazia, abbiamo fatto la prima riunione come nel peggiore sistema democristiano e quindi si è fatto il consiglio di amministrazione», commenta un professore. Dalle carte emerge la consapevolezza dei gravi illeciti commessi, il timore degli indagati di essere intercettati e le raccomandazioni a non parlare al telefono. Il giorno dopo la sua elezione, Basile avrebbe chiesto al predecessore «se la stanza fosse stata o meno bonificata da eventuali cimici».

L'indagine è nata da una querelle tra un professore e l'ex rettore Pignataro riguardo una procedura amministrativa.

Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro definisce un «mondo desolante» quello che emerge dall'inchiesta: «Quando l'espressione della cultura accademica, che dovrebbe essere assolutamente non soggetta al potere si sottomette al potere».

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