Dopo otto anni di guerra civile nel Donbass e dieci mesi d'intervento russo l'Ucraina si prepara a far i conti anche con le drammatiche lacerazioni tipiche delle guerre di religione. A spingerla verso il nuovo barato ci sta pensando Volodomyr Zelensky. Nel discorso alla nazione di giovedì il presidente ha annunciato una proposta di legge per la messa al bando della chiesa ortodossa legata a Mosca. Un provvedimento che minaccia di rendere ancor più insanabile lo scontro con le minoranze.
Ma le polemiche di stampo religioso infiammano anche la Russia. A Mosca e dintorni si susseguono le prese di posizione contro il Vaticano e Papa Francesco. Dopo l'intervista alla rivista dei gesuiti statunitensi in cui sottolineava come molti crimini di guerra commessi in Ucraina siano attribuibili a ceceni e buriati, il Papa è accusato di dividere il popolo russo e scaricare sulle minoranze la responsabilità dei crimini di guerra. Un clima di cui approfitta il leader ceceno Ramzan Kadyrov pronto ad accusare il Papa di «seminare odio» e divisioni interetniche. E a rendere più incandescente la situazione s'aggiunge la vicenda di Padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta, due preti greco-cattolici arrestati lo scorso 16 novembre a Berdyansk, una città costiera tra Mariupol e Melitopol sotto controllo russo. Secondo l'arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, i due sarebbero stati arrestati dai soldati russi sulla base di false evidenze e subirebbero durissimi interrogatori. Un terzo prete cattolico, don Oleksandr Bogomaz, è stato prelevato dai soldati russi nella sua parrocchia di Melitopol e liberato qualche ora dopo con l'ordine di lasciare la parrocchia e la regione di Zaporizha.
A Kiev continua a far discutere, invece, il disegno di legge per la messa al bando di luoghi di culto e autorità religiose legati alla Chiesa Ortodossa Mosca. Secondo Zelensky la legge impedirà che «organizzazioni affiliate con i centri d'influenza della federazione Russa operino in Ucraina», assicurerà «l'indipendenza spirituale» del paese ed eviterà che la Russia «manipoli e indebolisca l'Ucraina dal suo interno». Il provvedimento, oltre a contraddire la presunta vocazione democratica di Kiev, s'aggiunge a quelli con cui sono stati messi fuori legge prima i partiti e i politici filo Putin e, subito dopo, libri e scrittori russi. Da questo punto di vista la norma contribuirà a scavare nuove e incolmabili divisioni. Anche perché la criminalizzazione della chiesa ortodossa russa è iniziata anche in assenza della norma proposta da Zelensky. Negli ultimi dieci mesi le autorità di Kiev hanno arrestato e incarcerato 33 preti legati al patriarca russo Kirill accusandoli di spionaggio. E negli ultimi due mesi si sono moltiplicate incursioni e perquisizioni dei servizi di sicurezza all'interno di monasteri e chiese affiliati con Mosca. Nel frattempo negli uffici dell'Sbu (i servizi segreti di Kiev) si susseguono gli interrogatori di religiosi condotti, in alcuni casi, con l'uso del poligrafo ovvero la «macchina della verità».
La vasta azione repressiva non sembra, per ora, dare grandi risultati. Gli unici elementi di colpevolezza consisterebbero nel ritrovamento di testi «che negano l'esistenza del popolo ucraino, il suo linguaggio e il diritto dell'Ucraina a esistere come entità statuale». Insomma reati d'opinione che ben difficilmente possono giustificare la messa al bando di una chiesa ortodossa forte, prima dell'intervento russo, di ben 10mila parrocchie.
Anche perché in tutto questo non si capisce come Zelensky possa pretendere di riprendersi i territori di Crimea, Lugansk e Donetsk, abitati da quasi otto milioni di russi, e governare un paese dove un abitante su cinque si ritroverebbe senza diritti civili e religiosi.
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