Chiusa l'inchiesta su Etruria Ma sul pm ora indaga il Csm

Rossi rischia il trasferimento per la strana garçonnière scoperta dal «Giornale». Nel crac coinvolto papà Boschi

Il procuratore Roberto Rossi con Marco Donati (Pd)
Il procuratore Roberto Rossi con Marco Donati (Pd)

Pochi minuti per aprire la pratica: il caso Rossi atterra al Csm. Sarà la Prima commissione a valutare la posizione del magistrato, titolare della delicatissima inchiesta su Banca Etruria. A novembre il Giornale aveva svelato la storia che ad Arezzo molti già conoscevano: fra il 2010 e il 2011 Rossi ebbe la disponibilità di un appartamento che frequentava con le sue amiche. Nulla di penalmente rilevante, ma un comportamento discutibile dal punto di vista dell'opportunità e non proprio un biglietto da visita raccomandabile per un pubblico ministero assai in vista, promosso infatti nel 2014 procuratore della repubblica.

Sembrava che la vicenda della garçonnière fosse evaporata all'italiana, dopo il clamore dei primi giorni e si fosse persa nei mille rimpalli del sistema giudiziario italiano, fra indagini, voci, chiacchiere da bar. E invece no: la lettera di un cittadino, che allegava puntigliosamente gli articoli del Giornale, è atterrata a Palazzo dei Marescialli ed è finita sulla scrivania di alcuni consiglieri che l'hanno girata a loro volta al Comitato di presidenza.

Una prassi consolidata, quasi una routine di fronte all'interminabile pioggia di esposti, segnalazioni, denunce che ogni giorno raggiungono l'organo di autogoverno dei giudici tricolori.

Il Comitato, formato dal vicepresidente Giovanni Legnini e poi dal procuratore generale e dal primo presidente della Cassazione, ha preso l'incartamento e l'ha passato alla Prima commissione. Una mossa quasi automatica che però innesca un procedimento da non sottovalutare: Rossi potrebbe essere trasferito d'ufficio per incompatibilità ambientale.

Si vedrà. Ogni ragionamento in questa fase è prematuro: Rossi non avrebbe sborsato un euro per quei locali ricavati dentro un complesso residenziale nella quiete di Poggio Fabbrelli, alle porte della città. Né il canone d'affitto né le bollette o altro. Niente di niente.

Non solo: alcuni condomini, irritati dall'andirivieni di ragazze, avevano espresso il loro malumore e cosi alla fine la Italcasa costruzioni, la società proprietaria di quei vani, decise di intervenire. Di fatto Rossi dovette sloggiare e l'appartamento fu messo sul mercato.

Nel 2012 la storia finisce in coda ad un dossier assai più corposo aperto dalla procura di Genova: in Liguria si indaga infatti sulla tangente che Antonio Incitti, un poliziotto all'epoca braccio destro di Rossi, avrebbe estorto ad un imprenditore. Rossi si proclama vittima delle manovre del collaboratore che avrebbe tradito la sua fiducia: dopo quattro anni l'interminabile indagine non è ancora finita, ma la procura di Genova sarebbe orientata a riconoscere le ragioni della toga e a scagionarla completamente. Questo sul piano penale.

Resta la vicenda imbarazzante dell'appartamento. Ancora di più in una città piccola e piena di spifferi come Arezzo. Per Rossi invece il Giornale cerca di indebolirlo nel momento in cui è giunta alle battute finali l'inchiesta sul disastro di Banca Etruria che ha travolto i risparmi di centinaia di cittadini: sono 20 gli avvisi di chiusura indagine recapitati, fra gli altri, all'ex presidente Lorenzo Rosi e all'ex direttore generale Luca Bronchi. Non c'è Pierluigi Boschi, consigliere e poi vicepresidente dell'istituto di credito, padre di Maria Elena.

Sarà dunque il Csm a pesare la storia.

Ma nell'Italia delle sorprese che non finiscono mai è da registrare un ultimo incrocio: da poche settimane a guidare la Prima commissione è una persona che Rossi consce bene: l'avvocato Giuseppe Fanfani, ex sindaco Pd di Arezzo.

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