Quando l'imperatore Hirohito fece sentire per la prima volta la sua voce ai sudditi giapponesi per annunciare la resa dopo che le atomiche americane avevano spianato Hiroshima e Nagasaki, un popolo intero non credette alle proprie orecchie. Era il 14 agosto 1945 e si trattava di una «prima assoluta» per un uomo che pretendeva di avere ascendenze divine. Pochi mesi dopo anche quel mito fondante della dinastia crollò - ancora una volta direttamente sulla testa dei giapponesi. Era il 1° gennaio 1946: il generale americano Douglas Mac Arthur, un tipo sbrigativo e concreto, aveva deciso che una esplicita dichiarazione dell'imperatore in persona (in sintesi: «Cari sudditi, sono un uomo, non un dio») fosse la base indispensabile per promulgare la nuova Costituzione giapponese, facendo della terra del Sol Levante un Paese moderno che guardava a Occidente. Risultato ottenuto, ma al costo di un colpo fatale a un mito millenario.
Settant'anni dopo, un altro choc arriva per i giapponesi: il premier Shinzo Abe annuncia ufficialmente che l'imperatore Akihito, succeduto nel gennaio 1989 al padre Hirohito e prossimo al suo ottantaquattresimo compleanno, abdicherà e indica una data precisa, il 30 aprile 2019. Fatte le debite differenze, l'effetto dell'annuncio è paragonabile a quello prodotto da Benedetto XVI quando fece sapere che avrebbe lasciato da vivo la carica di Papa. Proprio come Joseph Ratzinger, Akihito si ritirerà per esaurimento delle forze dovuto all'età, e come nel caso del Papa si tratta del primo del genere dopo secoli (esattamente duecento anni: risale proprio al 1817 la rinuncia del sovrano Kokaku). Sono un uomo anziano, ha detto con un'umiltà più adatta a un pensionato che a un imperatore, e non ce la faccio più a svolgere le mie funzioni. Sarà esaudito: il 1° maggio prenderà il suo posto sul trono del Crisantemo suo figlio primogenito il principe Naruhito, che ha 57 anni.
In realtà Akihito, che anni fa ha subito umanissimi interventi chirurgici al cuore e alla prostata ed è da tempo in condizioni di salute piuttosto precarie, sta tentando di «andare in pensione» già da un po'. Il suo primo annuncio in tal senso - fatto a mezzo di un toccante discorso televisivo - risale all'agosto dell'anno scorso, ma la rinuncia al trono di un imperatore giapponese non è faccenda che si spicci in fretta.
Per renderla possibile e coerente con la Costituzione (quella già citata del 1946) è stato necessario approvare una legge speciale ad hoc e inserire la data dell'abdicazione nel complicato calendario legislativo e amministrativo giapponese.
Il 1° maggio 2019 Naruhito diventerà dunque il 126° imperatore del Giappone. Non più un discendente di una divinità, ma più prosaicamente un simbolo dello Stato con mere funzioni di rappresentanza.
Conserverà invece l'antico diritto a vedere intitolato il periodo in cui regnerà con un nome rituale: l'era di Akihito è stata denominata Heisei («pace»), speriamo che Kim Jong-un non imponga a suo figlio scelte meno felici.
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