Cina, la tennista anti-regime. "Abusata dall'ex vicepremier"

Post (poi fatto rimuovere) di Peng Shuai: "Sola, ma dirò la verità su Zhang Gaoli". Il MeToo colpisce il cuore del partito

Cina, la tennista anti-regime. "Abusata dall'ex vicepremier"

Sbaglia Shuai Peng, campionessa di tennis e gloria nazionale quando scrive: sono come un uovo che colpisce la roccia. Niente affatto. Quella che ha appena fatto scoppiare è una bomba che arriva al cuore del partito cinese, che colpisce dritta in faccia l'ex vicepremier Zhang Gaoli e rischia di sconvolgere gli equilibri interni a pochi giorni dall'inizio del Sesto Plenum del Pcc. E così il #MeToo è arrivato al ghota del potere. «Anche so sono sola dirò la verità su di te». Uno scandalo carico di conseguenze. L'atleta di 35 anni, nel 2014 è stata numero uno della classifica mondiale nel doppio femminile, dopo aver vinto a Wimbledon e Parigi. Orgoglio e gloria di un popolo che scoperchia l'orrendo abuso. Martedì sera la tennista ha pubblicato un post sul suo account ufficiale Weibo nel quale accusa l'ex vicepremier ed ex membro del Comitato permanente del Politburo comunista Zhang Gaoli, oggi pensionato settantacinquenne, di averla costretta a un rapporto sessuale e poi a una relazione durata anni. Il post è stato cancellato dal web pochi minuti dopo essere stato lanciato sul social network più popolare della Cina, ma qualcuno aveva già fatto in tempo a copiarlo e far circolare lo screenshot. Immediatamente è partita la censura cinese, il nome della tennista è stato subito cancellato, sono state bloccate subito le ricerche dei nomi della giocatrice e del politico, ma i «netizen» cinesi hanno fatto ricorso ai soliti sistemi per aggirare l'oscuramento. Sì perchè perfino in Cina l'aria è cambiata e la censura, soprattutto su certi temi, non funziona neppure più li. Appare un avviso che dice che il post ha violato «leggi e regolamenti pertinenti». Eppure il messaggio è risuonato ovunque, tanto da dividere già il Paese.

L'accusa di Peng Shuai è controversa, e lo ammette anche lei, non ha prove e d'altro canto Zhang era molto attento a non lasciare tracce della relazione: «temeva che potessi registrare qualcosa durante i nostri incontri». «So che dato il tuo potere non hai paura di me, vicepremier Zhang Gaoli, ma anche se sono sola, come un uovo che si scontra con una roccia, come una falena verso una fiamma, dirò la verità su di te», assicura.

La storia iniziò intorno al 2007, quando Zhang era il capo del partito a Tianjin, la grande città portuale un centinaio di chilometri a Est di Pechino e Peng una giovane promettente che fin da esordiente era stata tesserata per il tennis club di Tianjin. Il racconto è una sorta d'orrore: un pomeriggio il politico la invitò per una partita, un invito che certo nessuno avrebbe potuto rifiutare, portando con sé anche la moglie. «Ero molto spaventata, ma non mi aspettavo che lui si comportasse in quel modo». È a quel punto che secondo la campionessa il politico dopo aver giocato la violentò. Zhang, avrebbe preso da parte Peng per spingerla ad avere un rapporto sessuale. «Quel pomeriggio non ero d'accordo e ho continuato a piangere». Peng accetta comunque una parte di responsabilità: «Sono una cattiva ragazza», scrive, perché dopo quel pomeriggio si piegò ad una relazione tra alti e bassi con quell'uomo così potente. Ma l'ex vicepremier deve aver fatto male i suoi calcoli. Certo non poteva immaginarsi che l'onda potente del meetoo sarebbe riuscita ad abbattere anche le barriere cinesi. E non poteva certo immaginare che la battaglia di Zhou Xiaoxuan è stata un fallimento solo per metà. La donna infatti che nel 2018 denunciò per molestie sessuali un noto giornalista televisivo si concluse con assoluzione lo scorso 14 settembre. Eppure si avviò un processo storico. Un cambio epocale, un addio per sempre alla sottomissione passiva del genere femminile.

A luglio, la polizia di Pechino ha arrestato la pop star cinese canadese Kris Wu dopo che diverse giovani donne avevano pubblicamente affermato di essere state aggredite sessualmente dalla star del K-pop.

Ad agosto, invece, a essere finito nel mirino del movimento femminista è stato il gigante cinese dell'e-commerce Alibaba. L'azienda ha licenziato un dirigente dopo che un'impiegata ha denunciato di essere stata violentata dal suo superiore durante un viaggio d'affari.

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