Il cittadino ingrassa e si veste da notabile. La metamorfosi della rivoluzione grillina è tutta qui. Luigi Di Maio cancella l'architrave del movimento pensato da Casaleggio padre e Beppe Grillo. Lo fa con un colpo d'ascia, senza consultarsi con gli iscritti, senza votazioni on line, a dispetto dei santi, perché quando devi buttare giù il passato è meglio farlo senza troppe chiacchiere. La nuova regola è questa: non c'è più il divieto di doppio mandato per sindaci e consiglieri comunali. Cosa significa? Che ti puoi ripresentare, che non perdi la poltrona, che la politica non è un passatempo, ma una professione, una carriera, a tempo pieno, su cui investire, negli anni. La politica è un mestiere, è denaro, ti fa campare. Tutto quello che Grillo e Casaleggio volevano sradicare. Il grillino ideale, per loro, doveva essere una sorta di Cincinnato, uno che si impegna nella cosa pubblica per passione, per dovere, perché magari stanco delle solite facce, di sindaci e vice sindaci che si passano il testimone, del caporalato del voto di scambio, di parlamentari di lungo corso, sempre lì, legislatura dopo legislatura. Di Maio, però, ora ha un problema di voti, voti veri e puzzolenti e dice che i Cinque Stelle devono radicarsi sul territorio, incarnarsi, conquistare feudi. Il Movimento non può più camminare sullo spirito di politici dilettanti.
Non è più tempo di grillini amatoriali. Poi spergiura che questo vale solo per il territorio, perché a Palazzo Madama e Montecitorio resteranno tutti precari. Non ci crede nessuno, perché quando superi un tabù, quando rinneghi uno dei principi cardine di un'avventura, cambia la trama e nulla sarà più come prima. Di Maio con questa mossa toglie la maschera a Grillo e per una volta il giullare, non il re, è nudo. Era solo uno spettacolo di arte varia di un movimento innamorato di se stesso, delle sue parole, di una finzione. L'idea che tutti possano fare tutto, che uno vale uno, che il Palazzo pasoliniano sia una zuppa precotta da aprire con l'apriscatole, che la competenza sia un lusso e l'onestà un valore da gridare nelle piazze è fragile propaganda, buona per accarezzare pancia e viscere dell'uomo qualunque, quello che sulla piattaforma Rousseau si sente come al bar. Non è che i grillini hanno perso l'innocenza. Non l'hanno mai avuta e ora lo stanno certificando. La politica è una professione, una vocazione e, come sosteneva Max Weber, non c'è nulla di male in questo. Il problema, semmai, è come lo fai questo mestiere. Ed è una questione antica.
Non c'è alcuna garanzia che l'ultimo arrivato sia il più onesto, come d'altra parte l'esperienza dei vecchi marpioni non garantisce il buon governo. L'unica cosa certa è che Di Maio, come tanti altri prima di lui, per racimolare un futuro politico, si affida ai notabili. Il tempo dei Cittadini è scaduto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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