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Il Colle non ci sta e lo inchioda: vada alle Camere

Il capo dello Stato respinge le dimissioni e invita il premier ad andare in Parlamento mercoledì prossimo: è un dovere democratico

Il Colle non ci sta e lo inchioda: vada alle Camere

Quando arriva sul Colle, alle tre e mezzo di un pomeriggio torrido, Mario Draghi è gelido e furibondo. «Non lo abbiamo mai visto così infuriato», raccontano. Il premier, dopo lo strappo grillino, smania per dimettersi subito. Scalpita. «Presidente, il patto di fiducia si è rotto, la maggioranza non esiste più. In queste condizioni io non posso proprio continuare». Sergio Mattarella, che invece vuole inchiodarlo a Palazzo Chigi, prova a calmarlo e lo avvolge in un seducente ragionamento democristiano la cui sintesi è: questa non è una vera crisi. E lo convince ad aspettare, gli spiega che tenterà un'altra mediazione, un'ultima verifica per capire se si può rimettere il dentifricio nel tubetto, Mattarella al primo giro ottiene solo qualche ora di «riflessione» perché il negoziato non decolla nemmeno: ma tranquilli, ci riproverà.

Quando Draghi ritorna, alle otto di sera, i mercati sono chiusi e, dal suo punto di vista, la decisione è presa. Lo ha già detto ai suoi ministri, ringraziandoli per l'impegno e i risultati raggiunti, lo ripete nello studio presidenziale. Basta, insiste, me ne vado, «non ci sono prospettive per realizzare il programma di governo». Addirittura, lui non vorrebbe restare a Palazzo Chigi nemmeno per l'ordinaria amministrazione, Se non posso governare, è il senso del discorso, è inutile che stia lì a guardare il bidone.

Il capo dello Stato però fa muro. Mattarella, al termine di un incontro definito «sereno» e «con piena identità di vedute» nonostante le voci di frizioni tra i due, non solo «non accoglie le dimissioni», ma, come si legge nel secco comunicato del Colle, invita «il presidente del Consiglio a presentarsi alle Camere per comunicazioni» affinché «nelle sedi proprie si effettui una valutazione della situazione che si è creata a seguito della seduta di oggi al Senato». Niente crisi extraparlamentari, la procedura istituzionale va rispettata, i numeri della maggioranza dovranno essere verificati in aula: è un dovere democratico, spiegano in serata dal Colle. E se pure il governo cadesse, Draghi resterebbe al suo posto: il Quirinale esclude con nettezza soluzioni pre-elettorali e gabinetti balneari da Prima Repubblica.

Dunque mercoledì il presidente del Consiglio dovrà farsi vedere a Montecitorio e a Palazzo Madama e lì forse, chissà, scioglierà il paradosso di un esecutivo che è in crisi anche se ha appena incassato la fiducia del Senato. Insomma, come gli fa notare Mattarella, il problema è politico e non istituzionale. Il governo non è caduto. Il premier gode ancora formalmente dell'appoggio della sua coalizione. Con la buona volontà di tutti le cose si possono riaggiustare. C'è la guerra, la crisi economica, la mancanza di energia, il Covid, l'inflazione, il Pnrr da completare, la Finanziaria da preparare, la legislatura da finire. L'Italia rischia grosso, lo spread e le agenzie di rating già ci stanno punendo. E poi, diciamola tutta, non è certo M5s che ha fretta di andare a votare.

E mercoledì è lontano. Cinque giorni in politica sono tantissimi, sufficienti per almeno provare a rimettere dritta la barca. Il capo dello Stato si «rende conto» delle difficoltà, delle contraddizioni di un movimento di lotta e di governo, della situazione surreale di un ministro costretto a non votare la fiducia a se stesso. Però «spera ardentemente» che in questi «tempi supplementari», come li ha definiti Giancarlo Giorgetti, ritorni se non l'armonia, uno straccio di collaborazione.

Dimissioni quindi in qualche modo congelate. Tutto fa brodo, anche un provvidenziale vertice intergovernativo in Algeria il 18 e il 19 per parlare di gas.

Il Pd in una nota da voce al negoziato sotto traccia che il Colle ha avviato. «Ora tutti al lavoro perché mercoledì alle Camere si ricrei la maggioranza è il governo Draghi possa ripartire. Il Paese piomberebbe in una crisi gravissima, non ce la possiamo permettere». E anche Forza Italia vuole che l'esecutivo prosegua. Dice Antonio Tajani, coordinatore nazionale: «Per noi dopo Draghi non ci sono altri premier». Conte alza ancora la posta, tuttavia si dice «pronto» a sostenere il premier.

Resta solo un piccolo problema, convincere SuperMario o legarlo alla sedia.

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