Coronavirus

Colpo di spugna del ministero. Quel passo indietro coi giudici

Continua la bagarre sul piano segreto. Battaglia legale al Consiglio di Stato. Colpo di scena in camera di consiglio

Colpo di spugna del ministero. Quel passo indietro coi giudici

Prima il ministero della Salute si mostra pronto ad avanzare la guerra giudiziaria. Poi a sorpresa tira indietro un po’ la mano. E di fronte ai giudici del Consiglio di Stato, preferisce rinviare lo scontro: l’Avvocatura dello Stato, che difende il dicastero, ha infatti rinunciato all’istanza cautelare per bloccare la sentenza del Tar che lo obbligava a pubblicare il “piano segreto” anti-Covid.

Non si è ancora conclusa la battaglia legale tra viale Lungotevere Ripa e i due deputati di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato. L'ultima puntata è andata in scena giovedì, quando di fronte alla III Sezione, l’avvocatura dello Stato e Silvia Marzot, legale dei due onorevoli, si sono trovati di fronte ai giudici per la camera di consiglio. La vicenda è nota ai lettori del Gornale.it e in sintesi può essere riassunta così: dopo l’intervista di Andrea Urbani in cui riferiva di un “piano secretato” pronto già da gennaio, i deputati hanno prima fatto un accesso agli atti per leggerlo e poi, ignorati, sono ricorsi al Tar. Il tribunale amministrativo si è espresso ed ha condannato il Ministero a rendere noto quel “documento”. Da qui la pubblicazione del “Piano nazionale sanitario in risposta a un 'eventuale emergenza pandemica da Covid- 19”, le lamentele del dicastero per la sentenza e infine l’annunciato ricorso per sanare il “pregiudizio gravissimo e irreparabile” che il Tar avrebbe cagionato “sull’operato e la serietà dell’Amministrazione sanitaria”. Tutte cose note.

La difesa dell’Avvocatura di Stato segue due direttive: da una parte, ritiene che il “Piano” citato da Urbani non esista; dall’altro, lo definisce come un documento procedimentale, poi confluito in altri studi più corposi, e che come tale non obbliga l’Amministrazione a renderlo pubblico. Il resto sono argomentazioni da azzeccagarbugli. Due giorni fa, il 18 marzo, Marzot ha presentato una corposa memoria difensiva che smonta pezzo per pezzo le deduzioni della controparte e accusa il ministero di aver tenuto un “comportamento reticente” e confusionario.

Di questioni poco chiare è lastricato l’inferno, così come l'intera vicenda piano segreto. Sarà il Consiglio di Stato a entrare nel merito e decidere se ha ragione il Ministero o i deputati. Ma un fatto ormai appare acclarato, ammesso pure dalla stessa Avvocatura: il “documento” di Urbani esiste. Sarà in bozza, sarà istruttorio, sarà procedimentale. Ma esiste. Quello che i due onorevoli vorrebbero a questo punto ottenere è solo di poterlo leggere.

Poco importa, infatti, se si chiama “Piano pandemico”, “Piano nazionale emergenza”, “Piano Urbani” o “coccodè”. Ad interessare è il contenuto, anche se solo in brutta copia: cosa sapeva il ministero “a gennaio”? E cosa aveva in mano Urbani per dire che già in quella data quel documento era stato “seguito”?

C’è poi un’ultima questione. Ed è una sorta di mezzo mistero. Perché, dopo aver presentato il ricorso e aver chiesto di sospendere l’esecutività della sentenza del Tar, alla fine il Ministero ha tirato indietro la mano? Perché rinunciare all’istanza cautelare? Per ora possiamo solo formulare alcune ipotesi. La prima è che l’Avvocatura, dopo aver letto la memoria difensiva, abbia fiutato il rischio di una sconfitta. La seconda, ma forse è più una suggestione, riguarda le date: la camera di consiglio si è svolta il 18 marzo, data istituita come giornata in memoria delle vittime del Covid. Provocare una pronuncia del Consiglio di Stato su un tema così divisivo nel giorno della commemorazione, forse, non sarebbe stato politicamente conveniente.

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