Di quale colpa si fosse macchiato, agli occhi del killer, non si sa. E forse mai lo si scoprirà. Giorgio Erba, sessant'anni, è la terza vittima di Claudio Giardiello: nonostante dopo la sparatoria respirasse ancora, è morto poco dopo al Policlinico prima ancora che i chirurghi potessero tentare l'impossibile.
Ieri era arrivato in tribunale nella scomoda veste di accusato, coimputato con l'uomo che da lì a poco si sarebbe trasformato in una belva omicida. Anche lui, nato a Cologno Monzese, in provincia di Milano, ma che da anni viveva in Brianza con la famiglia, doveva rispondere per il fallimento della «Magenta Immobiliare». «Trovo inamissibile che un uomo armato e con quel tipo di arma con quella capacità di fuoco possa entrare in tribunale e sparare. È inaccettabile», scuote ora la testa il suo avvocato, Luca Secco. Lui è uno scampato, si è sentito sibilare accanto le pallottole, forse non era un bersaglio, di certo non doveva essere il suo momento. Ciò che ha visto non lo vuole raccontare, probabilmente nemmeno ricordare. E si trincera dietro a professionale «Non parlo di quanto accaduto, in merito ci sono delle indagini».
De suo cliente morto, centrato da un paio di colpi calibro 9, si sa poco, la sua figura in questa storia risulta enigmatica, sfumata, quasi di secondo piano. Di certo era stato uno dei soci di Giardello, anche se il suo nome non figura negli atti che decretarono il fallimento della «Magenta». Era il 13 marzo del 2008 quando l'immobiliare finì a rotoli. Quel che si sa è che la storia inizia nel 2002 e ruota attorno a due palazzine in via Biella, a Milano. L'immobile lo aveva costruito la Miani Immobiliare, società che fa capo per un 75% alla Cisep, in cui ha delle quote D'Anzuoni, e per il restante 25% alla Magenta immobiliare di Giardiello, Davide Limongelli (nipote dell'assassino) e di un terzo socio, Giovanni Scarpa, titolare di un 15% di quote.
Un giro d'affari, che si disperdeva in mille rivoli, in affari non limpidissimi. basta «ascoltare» i nomignoli che utilizzavano e che gli investigatori avevano scoperto grazie alle intercettazioni.
Claudio Giardiello, l'assassino, era il «conte Tacchia», il nipote ferito, Davide Limongelli il «Marchesino», Giorgio Erba, il morto, il «Comandante». Massimo D'Anzuoni, l'ultimo della lista «nera», l'uomo che l'assassino stava andando a cercare per finire la mattanza, era invece soprannominato «Predatore». «Devo la vita al mio avvocato, se non fosse stato che non c'era bisogno della mia presenza, sarei stato in quell'aula. E probabilmente sarei morto», racconta adesso D'Anzuoni.
È un geometra e anche lui era imputato nel processo di ieri. Nell'ottobre di due anni fa aveva patteggiato una condanna a tre anni ed un mese dopo esser stato arrestato a maggio del 2013 per un giro di tangenti per la realizzazione di un centro commerciale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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