
La frenata del Pil nel secondo trimestre, legata al difficile scenario del commercio internazionale, ha reso il quadro congiunturale più fragile. A certificarlo è l'Ufficio parlamentare di bilancio, che, nella nota di agosto, ha preso atto della stima preliminare dell'Istat e ha rivisto al ribasso le previsioni sul Pil: +0,5% sia nel 2025 che nel 2026. Una correzione al ribasso (rispettivamente di 0,1 e 0,2 punti percentuali rispetto alle previsioni di aprile) che fotografa una ripresa condizionata dalla realizzazione del Pnrr i cui progetti devono essere completati entro giugno 2026.
Il Pil, sceso dello 0,1% nel secondo trimestre dopo il +0,3% dei primi tre mesi dell'anno, ha subito l'impatto negativo della domanda estera, che ha più che annullato il contributo positivo dei consumi e degli investimenti. A pesare, spiega l'Upb, anche l'apprezzamento dell'euro sul dollaro, che ha colpito le esportazioni, in particolare nel secondo trimestre, dopo un primo parziale recupero legato all'anticipo di spedizioni verso gli Stati Uniti per evitare l'impatto dei nuovi dazi.
E proprio il tema dei dazi si candida a peggiorare ulteriormente il quadro: l'accordo Ue-Usa sui nuovi balzelli del 15%, ancora dai contorni poco chiari, potrebbe penalizzare in modo significativo il Made in Italy. Un rischio che si somma alle incertezze interne sul rispetto delle tempistiche del Piano di ripresa e resilienza. "Il quadro macroeconomico è soggetto a rischi orientati prevalentemente al ribasso", ha avvertito l'Upb, che comunque segnala una tenuta del mercato del lavoro, con un aumento medio dello 0,5% dell'occupazione nel biennio 2025-2026, pur a fronte di una lieve flessione delle ore lavorate.
Nel frattempo, sul fronte della domanda interna, i consumi delle famiglie restano prudenti, nonostante una certa tenuta del potere d'acquisto. La fotografia scattata dall'Istat sulle vendite al dettaglio di giugno conferma un andamento in apparenza positivo: +0,6% in valore e +0,4% in volume su base mensile. Ma il dettaglio racconta altro. La crescita è trainata quasi esclusivamente dai beni alimentari (+1,4% in valore, +1,1% in volume), mentre i non alimentari segnano una sostanziale stagnazione. Su base annua, la crescita dell'1% in valore si accompagna a un incremento più contenuto dei volumi (+0,7%). Più spesa, insomma, ma per acquistare meno: un effetto diretto dell'inflazione.
A preoccupare le associazioni dei consumatori è il carrello della spesa che si svuota: per i prodotti alimentari, a giugno si registra un +2,8% in valore ma un calo dello 0,3% in volume rispetto allo stesso mese del 2024. È l'ennesima conferma di come l'inflazione, seppur in fase di rientro, continui a incidere sui comportamenti di spesa. Ne risente la distribuzione: a guadagnare terreno sono la grande distribuzione (+3,4%) e, soprattutto, i discount alimentari (+4,7%), mentre arretrano i piccoli esercizi (-1,7%). In forte crescita anche l'e-commerce (+4,1%).
In questo contesto incerto, l'estate rappresenta una boccata d'ossigeno per alcune filiere.
Secondo la Fipe-Confcommercio, ad agosto i consumi fuori casa toccheranno i 9,3 miliardi di euro: di questi, 5,4 miliardi saranno spesi nei ristoranti (oltre 6 miliardi considerando anche la ristorazione veloce) e 1,8 miliardi nei bar. Una spinta, però, che rischia di rimanere circoscritta alla bella stagione senza interventi di peso sulla pressione fiscale.