Congo, così il carabiniere Iacovacci fece scudo all'ambasciatore italiano

I nostri connazionali uccisi dai banditi, non dal "fuoco amico"

Congo, così il carabiniere Iacovacci fece scudo all'ambasciatore italiano

Il carabiniere di scorta dell'ambasciatore Luca Attanasio avrebbe cercato di fare scudo con il suo corpo per mettere in salvo il diplomatico, ma purtroppo sono stati uccisi entrambi sembra dai sequestratori e non da fuoco amico. I carabinieri del Raggruppamento operativo speciale che indagano sul caso compieranno una terza missione in Congo proprio per concentrasi sulle perizie balistiche e le falle della sicurezza. La procura di Roma sta procedendo con due filoni d'inchiesta: il primo per terrorismo sull'imboscata e la morte dei due italiani e la seconda con l'ipotesi di omicidio colposo sulla mancata sicurezza. Nel frattempo alcuni comboniani indicano una pista opposta sugli assassini rispetto a quella del governo di Kinshasa, che punta il dito contro gli hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda. I missionari chiamano in causa il discusso colonnello Jean Claude Rusimbi legato al governo ruandese e coinvolto in massacri nel Kivu, la zona dove è stato ucciso l'ambasciatore. La Farnesina, per ora, non da credito a queste accuse.

I Ros hanno sentito diversi testimoni dell'agguato del 22 febbraio compreso Rocco Leone, vice direttore del Pam in Congo, sopravvissuto all'imboscata. Le versioni concordano che i due italiani sono stati uccisi nello scontro a fuoco, non in una vera e propria esecuzione, ma comunque per mano dei sequestratori mentre cercavano di fuggire dalla sparatoria con i ranger del parco Virunga intervenuti per liberare gli ostaggi. Il carabiniere Iacovacci avrebbe tentato di portare l'ambasciatore fuori dalla linea del fuoco proteggendolo, ma è stato colpito mortalmente. L'ambasciatore, gravemente ferito, è spirato più tardi nell'ospedale dei caschi blu.

«Il parco di Virunga è una giungla. Non ci sono turisti causa Covid ed i ranger non vengono pagati. Nel Kivu, dove è avvenuto l'agguato, esistono 160 gruppi armati. In molti casi sono solo criminali» spiega una fonte missionaria del Giornale, che conosce bene l'Africa. «Per i due italiani la pista più attendibile è quello di un tentato sequestro per riscatto finito male» sostiene il religioso.

Ieri si è recato in Kivu il capo della Missione di stabilizzazione dell'Onu nel paese (Monusco), Bintou Ketia, arrivata a Bukavu proprio per discutere del peggioramento della sicurezza. Nelle stesse ore veniva assaltata una postazione delle forze armate congolesi. Due militari sono stati uccisi nello scontro a fuoco. E dalla vicina provincia di Ituri i miliziani jihadisti delle Forze democratiche alleate ugandese hanno attaccato sette villaggi mettendo in fuga la popolazione che sta scappando verso il parco di Virunga. A Roma i titolari dell'inchiesta, Sergio Colaiocco e Alberto Pioletti, hanno sentito la moglie dell'ambasciatore ucciso, Zakia Seddiki, che ha parlato di «tradimento» di chi conosceva gli spostamenti del marito.

La magistratura sta indagando sulle falle nella sicurezza e sulla mancata richiesta di protezione confermata da un membro interno dei caschi blu dell'Onu. La terza missione dei Ros in Congo dovrà fare luce anche su questo corto circuito e sull'eventuale fuga di informazioni che ha condannato a morte l'autista, il carabiniere di scorta e l'ambasciatore.

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