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Conservatori addio anche dai Tories

Non sappiamo sia snobismo british ma nel primo giorno del Giubileo della Regina, cioè della monarchia, istituto conservatore per natura, l'inglese Financial Times ci informa che i Tories non gradiscono più farsi chiamare... conservatori.

Conservatori addio anche dai Tories

Non sappiamo sia snobismo british ma nel primo giorno del Giubileo della Regina, cioè della monarchia, istituto conservatore per natura, l'inglese Financial Times ci informa che i Tories non gradiscono più farsi chiamare... conservatori. Secondo l'editorialista Robert Shrimsley, infatti, l'appena nominato nuovo capo della comunicazione di Boris Johnson, David Canzini, chiamato per sollevare l'immagine periclitante del premier, avrebbe suggerito di evitare il più possibile la parola conservatism nella comunicazione e semmai di definirsi unconservative, che tradotto in italiano suonerebbe «aconsevatori». Canzini non è un neofita, né viene dalla sinistra, ha anzi operato per decenni in campagne di comunicazione dei Tories. Tuttavia crede, secondo il Financial Times, che la nuova politica economica del governo, tutta tassa e spendi, sussidi, crescita del Welfare, sia da «vendersi» per far dimenticare agli elettori tanto il conservatorismo di Margaret Thatcher che quello, fondato sull'austerità, di David Cameron. E in effetti il profilo del governo Johnson è molto lontano dal thatcherismo: a nostro avviso, non è una buona cosa per il suo esecutivo e per il suo Paese, ma la questione è un'altra. E riguarda il termine «conservatore» che, da noi, non ha mai avuto alcuna fortuna, e che invece ora è stato rilanciato da Fratelli d'Italia, autoproclamatisi appunto conservatori. Si tratta di un'intuizione interessante e meritevole, come abbiamo scritto qui più volte. Ma che non deve far dimenticare quanto questo concetto rischi di essere logoro, come quelli di liberale e socialista, da un lato, e dall'altro assai più ambiguo. Già l'ultima Thatcher si chiedeva, sia pure in privato, che senso avesse definirsi «conservatori», quando in realtà il suo partito aveva rivoluzionato il paese più di ogni altro. In un suo libro recente, poi, il saggista conservatore Ed West si domanda se questa cultura politica, nata in reazione alla Rivoluzione francese, non abbia fatto il suo tempo, tanto più che l'attualità è scandita da un'accelerazione della velocità di mutamento ancora più rapida che ai tempi della stessa Thatcher.

Insomma, se pure l'Inghilterra che, con Edmund Burke, ha inventato il conservatorismo, tende ad abbandonarlo, come si potrà implementare in l'Italia? Resta poi il problema, evidenziato dal capo comunicazione di Johnson, della ardua «vendibilità» del nome, anche se poi «aconservatore» è persino peggio. E infine, la domanda essenziale: i conservatori italiani, esattamente, cosa vorrebbero conservare?

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