La Consulta ferma la Lega sul referendum elettorale. Campo libero per Pd-M5s

«Quesito troppo manipolativo». I giallorossi possono proseguire con il proporzionale

La Consulta ferma la Lega sul referendum elettorale. Campo libero per Pd-M5s

T roppo «manipolativo»: non si farà il referendum leghista per cambiare la legge elettorale in senso maggioritario. La Corte Costituzionale blocca il quesito sollevato da otto regioni, e di fatto lascia così campo aperto all'altra riforma, quella di segno opposto che l'alleanza di governo giallorossa sta preparando per rafforzare ulteriormente la legge in senso proporzionale.

La decisione è arrivata ieri sera dopo una lunga camera di consiglio, la prima guidata dal nuovo presidente della Consulta Marta Cartabia. Sul tavolo i giudici della Corte avevano la richiesta avanzata da otto regioni a guida centrodestra per eliminare dalla legge elettorale vigente l'intera quota proporzionale. Si trattava di un quesito molto complicato, perché per rendere subito applicabile il risultato del referendum era stato necessario cesellare la norma attualmente vigente in numerosi passaggi. In caso di approvazione del quesito e indizione del referendum, gli italiani si sarebbero trovati sulla scheda elettorale una domanda fatta di quattromila parole che li invitava a esprimersi sulla abrogazione totale o parziale di ben quarantadue articoli o commi di legge. E anche questa estrema complessità si può ipotizzare che abbia spinto i giudici costituzionali a dichiarare inammissibile il referendum.

Il comunicato ufficiale parla di «eccessiva manipolatività»: a essere ritenuta inaccettabile sarebbe stata in particolare la parte del quesito che utilizzava, modificandola, la legge delega già data al governo dopo il taglio dei parlamentari per fare ridisegnare all'esecutivo i nuovi collegi maggioritari. Ma, tecnicalità a parte, è chiaro fin da ora è l'impatto politico della decisione della Consulta, che depotenzia il tentativo di Matteo Salvini e dei suoi alleati di sparigliare per via referendaria le regole del gioco elettorale, dando la voce direttamente ai cittadini, e rimanda la pratica alle trattative parlamentari.

La reazione di Salvini, infatti, non si fa attendere ed è brusca: «È una vergogna - dice l'ex ministro dell'Interno - è il vecchio sistema che si difende. Pd e 5 stelle sono e restano attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: così è il ritorno alla preistoria della peggiore politica italiana». Critica, ma più pacata, la forzista Mariastella Gelmini, che dopo la decisione della Consulta chiede che all'interno del centrodestra ci si metta subito a lavorare per elaborare un progetto condiviso di legge elettorale che «coniughi rappresentanza e governabilità». L'obiettivo è arrivare a «una legge in cui la coalizione che vince le elezioni poi stranamente governi: sempre che qualcuno non lo ritenga eccessivamente democratico». Brusco Maurizio Gasparri: «La Corte Costituzionale continua a sfornare decisioni politiche, il diritto cede il passo alla restaurazione della sinistra».

Non è stata una decisione né scontata né facile, quella presa ieri dalla Corte Costituzionale. Come sottolinea il professor Giovanni Guzzetta, che ha sostenuto davanti ala Consulta le tesi delle otto regioni, «il fatto che la Corte sia stata in camera di consiglio tutte queste ore, cosa che a me pare un record, significa che la questione era controversa, e che quindi non si trattava di un'iniziativa naif né campata in aria».

La richiesta, d'altronde, si muoveva nel solco di un precedente storico, i referendum elettorali promossi da Mario Segni che nel 1991 aprirono la strada al maggioritario e alla Seconda Repubblica. Stavolta, invece, non saranno gli italiani a pronunciarsi sulle regole del gioco.

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